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Cielo d'Alcamo

Contrasto

Biblioteca Classica Uroboro

a cura di Alessandro Sandrini
Edizioni Mediateca - 2001

Fonti

Si riproduce il testo critico pubblicato in Gianfranco Contini (a cura di), Poeti del Duecento (vol. II de La letteratura italiana. Storia e testi, diretta da Raffaele Mattioli, Pietro Pancrazi e Alfredo Schiaffini), Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, tomo I, pp. 173-185 (nuova edizione Ricciardi-Mondadori, 1995).

[Traduzioni esplicative a cura di A.Sandrini, © del curatore.]

"Rosa fresca aulentis[s]ima ch'apari inver' la state,
le donne ti disiano, pulzell'e maritate:
tràgemi d'este focora, se t'este a bolontate;
per te non ajo abento notte e dia,
penzando pur di voi, madonna mia."
1. Rosa fresca profumatissima che appari verso estate, le donne ti desiderano, giovani e maritate: traimi da questi fuochi, se è tua volontà. Per te non ho pace notte e giorno, pensando sempre a voi, mia Signora.
"Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
l'abere d'esto secolo tut[t]o quanto asembrare:
avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m'aritonno."
2. Se ti tormenti per me, la follia te lo fa fare. Potresti rompere con l'aratro il mare, e seminarvi, potresti riunire tutte le ricchezze del secolo [del mondo]: non mi potresti avere però in questo modo. Piuttosto mi taglio i capelli [mi faccio monaca].
"Se li cavelli artón[n]iti , avanti foss'io morto,
ca'n is[s]i [sì] mi pèrdera lo solacc[i]o e 'l diporto.
Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l'orto,
bono conforto dónimi tut[t]ore:
poniamo che s'ajunga il nostro amore."
3. Se ti tagli i capelli, prima io vorrei esser morto, perché con essi io perderei la mia consolazione e il mio diletto. Quando passo da casa tua e ti vedo, rosa fresca dell'orto, ogni volta mi dai un buon conforto: facciamo sì che il nostro amore si congiunga.
"Ke 'l nostro amore ajùngasi, non boglio m'atalenti:
se ti ci trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t'ar[i]golgano questi forti cor[r]enti.
Como ti seppe bona la venuta,
consiglio che ti guardi a la partuta."
4. Che questo nostro amore si congiunga si unisca non voglio che mi piaccia. Se qui ti trova mio padre con gli altri miei parenti, guarda che non ti colgano questi buoni corridori [perché t'inseguiranno]. Come ti fu facile venire qui, ti consiglio di stare attento alla partenza.
"Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèt[t]oci di dumili' agostari:
non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha 'n Bari.
Viva lo 'mperadore, graz[i'] a Deo!
Intendi, bella, quel che ti dico eo?"
5. Se mi trovano i tuoi parenti, che mi posson fare? Ci metto una difesa di duemila augustali. Non mi toccherà tuo padre per quanta ricchezza c'è in Bari. Viva l'Imperatore, grazie a Dio! Capisci, bella, quel che dico?
"Tu me no lasci vivere né sera né maitino.
Donna mi so' di pèrperi, d'auro massamotino.
Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,
e per ajunta quant'ha lo soldano,
toc[c]are me non pòteri a la mano."
6. Tu non mi lasci vivere né di sera né di mattina. Sono donna di grande ricchezza [di bisanti d'oro bizantini e di monete arabe]. Se pur tu mi donassi tutto quanto ha il Saladino, e per aggiunta quanto ha il Soldano, tu non mi potresti toccare neppure con la mano.
"Molte sono le femine c'hanno dura la testa,
e l'omo con parabole l'adimina e amonesta:
tanto intorno procàzzala fin che×ll'ha in sua podesta.
Femina d'omo non si può tenere:
guàrdati, bella, pur de ripentere."
7. Ci sono molte femmine che hanno la testa dura, e l'uomo con le parole le domina e le persuade; tanto intorno le dà la caccia finché non l'ha in suo potere. La femmina non si può difendere in alcun modo dall'uomo: guardati, bella, dal dovertene pentire.
"K'eo ne [pur ri]pentésseme? davanti foss'io aucisa
ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
[A]ersera passàstici, cor[r]enno a la distesa.
Aquìstati riposa, canzoneri:
le tue parole a me non piac[c]ion gueri."
8. Dovermene io pentire? Possa io morire, prima che qualche donna onesta possa essere rimproverata a causa mia! Ieri sera sei passato correndo a cavallo. Perciò riposati adesso, canterino; le tue parole non mi piacciono affatto.
"Quante sono le schiantora che m'ha' mise a lo core,
e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore!
Femina d'esto secolo tanto non amai ancore
quant'amo teve, rosa invidïata:
ben credo che mi fosti distinata."
9. Quanti sono gli schianti che m'hai messo nel cuore, e solo pensandoti, il giorno quando vado fuori! Nessuna femmina di questo mondo ho ancora mai amato quanto te, rosa invidiata; son certo che mi sei destinata dal cielo.
"Se distinata fósseti, caderia de l'altezze,
ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
Se tut[t]o adivenìssemi, tagliàrami le trezze,
e consore m'arenno a una magione,
avanti che m'artoc[c]hi 'n la persone."
10. Se fossi destinata a te scenderei troppo dalla mia altezza, perché le mie bellezza sarebbero sprecate se date a te. Se mi dovesse avvenire una tal disgrazia, mi taglierò le trecce, e mi farò suora in un monastero, prima ancora che tu mi tocchi nella persona.
"Se tu consore arènneti, donna col viso cleri,
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
per tanta prova vencerti fàralo volonteri.
Conteco stao la sera e lo maitino:
besogn'è ch'io ti tenga al meo dimino."
11. Se ti fai suora, donna dal viso chiaro, verrò al monastero e mi farò frate: per piacerti in questa prova lo farò volentieri. Starò con te la sera e il mattino: a tutti i costi dovrò farti mia.
"Boimè tapina misera, com'ao reo distinato!
Gesò Cristo l'altissimo del tut[t]o m'è airato:
concepìstimi a abàttare in omo blestemiato.
Cerca la terra ch'este gran[n]e assai,
chiù bella donna di me troverai."
12. Ohimè, misera tapina, com'è triste il mio destino! Gesù Cristo, l'Altissimo, del tutto è adirato con me; mi hai fatto nascere per darmi in mano a un tal bestemmiatore! Cerca nel mondo, che è assai grande; [certo] troverai una donna più bella di me.
"Cercat'ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia:
donna non [ci] trovai tanto cortese,
per che sovrana di meve te prese."
13. Ho già cercato in Calabria, Toscana e Lombardia, in Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e in Siria, in Germania, a Babilonia e in Africa del nord; mai ho trovato una donna tanto cortese: e per questo ti ho scelta come mia sovrana.
"Poi tanto trabagliàsti[ti], fac[c]ioti meo pregheri
che tu vadi adomàn[n]imi a mia mare e a mon peri.
Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri,
e sposami davanti da la jente;
e poi farò le tue comannamente."
14. Poiché ti sei tanto affaticato [in questa ricerca] ti faccio una preghiera: che tu vada a domandarmi a mia madre e a mio padre. Se acconsentono a darmiti in sposa, portami al monastero, e sposami davanti alla gente, e poi farò ciò che vuoi.
"Di ciò che dici, vìtama, neiente non ti bale,
ca de le tuo parabole fatto n'ho ponti e scale.
Penne penzasti met[t]ere, sonti cadute l'ale;
e dato t'ajo la bolta sot[t]ana.
Dunque, se po[t]i, tèniti villana."
15. Di ciò che dici, vita mia, niente ti vale, poiché delle tue storie non ne parlo nemmeno più. Pensasti di mettere le penne, ma ti son cadute le ali; e ti ho dato il colpo di grazia. Dunque, se puoi, continua a essere villana.
"En paura non met[t]ermi di nullo manganiello:
istòmi 'n esta grorïa d'esto forte castiello;
prezzo le tue parabole meno che d'un zitello.
Se tu no levi e va'tine di quaci,
se tu ci fosse morto, ben mi chiaci. "
16. Non mi far paura con i tuoi stratagemmi: me ne sto in gloria in questo forte castello; considero le tue parole meno di quelle di un fanciullo. Se tu non ti levi e te ne vai di qua, certo vorrei che fossi morto.
"Dunque vor[r]esti, vìtama, ca per te fosse strutto?
Se morto essere déb[b]oci od intagliato tut[t]o,
di quaci non mi mòs[s]era se non ai' de lo frutto
lo quale stäo ne lo tuo jardino:
disïolo la sera e lo matino."
17. Dunque tu vorresti, vita mia, che per te io fossi distrutto? Anche se dovessi qui morire o sfregiato completamente, di qua non mi muoverei se non ho il frutto che sta nel tuo giardino: lo desidero dalla sera alla mattina.
"Di quel frutto non àb[b]ero conti né cabalieri;
molto lo disïa[ro]no marchesi e justizieri,
avere no'nde pòttero: gìro'nde molto feri.
Intendi bene ciò che bol[io] dire?
Men'este di mill'onze lo tuo abere."
18. Quel frutto non l'hanno avuto né conti né cavalieri; molto l'hanno desiderato marchesi e giudici regionali, ma non hanno potuto averlo: se ne sono andati molto adirati. Capisci quello che voglio dire? Ciò che tu hai è meno di mille once.
"Molti so' li garofani, ma non che salma 'nd'ài:
bella, non dispregiàremi s'avanti non m'assai.
Se vento è in proda e gìrasi e giungeti a le prai,
arimembrare t'ao [e]ste parole,
ca de[n]tr'a 'sta animella assai mi dole."
19. Molti sono i chiodi di garofano, ma non tanti da formare un gran peso: bella, non mi disprezzare se non provi prima. Se il vento è a prua e gira ti raggiungo sulla spiaggia, ti ricordo queste parole, poiché dentro queste animelle molto mi duole.
"Macara se dolés[s]eti che cadesse angosciato:
la gente ci cor[r]es[s]oro da traverso e da×llato;
tut[t]'a meve dicessono: 'Acor[r]i esto malnato'!
Non ti degnara porgere la mano
per quanto avere ha 'l papa e lo soldano."
20. Almeno [magari] ti dolessi da cadere privo di sensi: la gente correrebbe da tutte le parti; tutti mi direbbero: "Soccorri questo malnato!". Non mi degnerei di porgerti la mano nemmeno per quanto ha il Papa e il Sultano.
"Deo lo volesse, vitama, te fosse morto in casa!
L'arma n'anderia cònsola, ca dì e notte pantasa.
La jente ti chiamàrano: 'Oi perjura malvasa,
c'ha' morto l'omo in càsata, traìta!'
Sanz'on[n]i colpo lèvimi la vita."
21. Dio lo volesse, vita mia, che io morissi in casa tua! L'arma ne sarebbe consolata, poiché delira giorno e notte. La gente ti chiamerebbe: "O malvagia spergiura, ché hai ucciso l'uomo in casa, traditora!". Invece mi togli la vita senz'alcun bisogno di ferita.
"Se tu no levi e va'tine co la maladizione,
li frati miei ti trovano dentro chissa magione.
[...] be×llo mi sof[f ]ero pèrdici la persone,
ca meve se' venuto a sormonare;
parente néd amico non t'ha aitare."
22. Se non ti levi e te ne vai con la maledizione, i miei fratelli ti trovano dentro questa casa. Ammetto senza obiezione che tu perda la vita; [e] nessun parente o amico ti può aiutare.
"A meve non aìtano amici né parenti:
istrani' mi so', càrama, enfra esta bona jente.
Or fa un anno, vìtama, che 'ntrata mi se' ['n] mente.
Di canno ti vististi lo maiuto,
bella, da quello jorno so' feruto."
23. A me non m'aiutano né parenti né amici: io sono forestiero, cara mia, tra questa buona gente. Or fa un anno, vita mia, che mi sei entrata in mente. Da quando ti ho vista in maggio, bella, da quel giorno son ferito [innamorato].
"Di tanno 'namoràstiti, [tu] Iuda lo traìto,
como se fosse porpore, iscarlato o sciamito?
S'a le Va[n]gele jùrimi che mi sï' a marito,
avere me non pòter'a esto monno:
avanti in mare [j]ìt[t]omi al perfonno."
24. Così tanto ti sei innamorato, tu Giuda traditore, come se fossi [io ?] porpora, o velluto scarlatto? Giurami sul Vangelo che vuoi sposarmi, non mi potrai avere in questo modo: prima mi getterei nel profondo del mare.
"Se tu nel mare gìt[t]iti, donna cortese e fina,
dereto mi ti mìsera per tut[t]a la marina,
[e da] poi c'anegàs[s]eti, trobàrati a la rena
solo per questa cosa adimpretare:
conteco m'ajo a[g]giungere a pec[c]are."
25. Se tu ti getti nel mare, donna cortese e fine, mi getterò dietro a te attraverso tutto il mare, e dopo che sei annegata, ti troverò sulla spiaggia solo per compiere questa cosa: con te voglio congiungermi per peccare.
"Segnomi in Patre e 'n Filïo ed i[n] santo Mat[t]eo:
so ca non se' tu retico [o] figlio di giudeo,
e cotale parabole non udi' dire anch'eo.
Morta si [è] la femina a lo 'ntutto,
pèrdeci lo saboro e lo disdotto."
26. Mi segno nel nome del Padre del Figlio e in quello di San Matteo: so che non sei eretico o giudeo, e codeste parole finora non le hai sentite dire. Se la femmina è morta in tutto e per tutto, ci perdi il sapore e il piacere.
"Bene lo saccio, càrama: altro non pozzo fare.
Se quisso non arcòmplimi, làssone lo cantare.
Fallo, mia donna, plàzzati, ché bene lo puoi fare.
Ancora tu non m'ami, molto t'amo,
sì m'ai preso come lo pesce a l'amo."
27. Questo lo so bene, cara mia: altro non posso fare. Se questo non fai per me, lasciami cantare. Ti piaccia farlo, mia donna, ché certo lo puoi fare. Ancora tu non m'ami, e molto io ti amo, m'hai preso all'amo come un pesce.
"Sazzo che m'ami, [e] àmoti di core paladino.
Lèvati suso e vatene, tornaci a lo matino.
Se ciò che dico fàcemi, di bon cor t'amo e fino.
Quisso t'[ad]imprometto sanza faglia:
te' la mia fede che m'hai in tua baglia."
28. So che m'ami, e io ti amo con cuore nobile. Alzati su e vattene, torna qui al mattino. Se fai ciò che dico, ti amo con cuore buono e prezioso. Questo ti prometto senza fallo: hai la mia promessa in tua balia.
"Per zo che dici, càrama, neiente non mi movo.
Inanti pren[n]i e scànnami: tolli esto cortel novo.
Esto fatto far pòtesi inanti scalfi un uovo.
Arcompli mi' talento, [a]mica bella,
ché l'arma co lo core mi si 'nfella."
29. Per quello che dici, cara mia, non mi muovo affatto. Prima prendi e scannami: prendi questo coltello nuovo. Si può far questo prima che si cuocia un uovo. Esaudisci il mio desiderio, amica bella, perché l'arma mi si rattrista con il cuore.
"Ben sazzo, l'arma dòleti, com'omo ch'ave arsura.
Esto fatto non pòtesi per null'altra misura:
se non ha' le Vangel[ï]e, che mo ti dico 'Jura',
avere me non puoi in tua podesta;
inanti pren[n]i e tagliami la testa."
30. Questo lo so bene, l'arma ti duole, come l'uomo che arde. Questo non può essere fatto a nessun'altra condizione se non hai il Vangelo, affinché io ti dica "giura", non puoi avermi in tuo potere; prima prendi e tagliami la testa.
"Le Vangel[ï]e, càrama? ch'io le porto in seno:
a lo mostero présile (non ci era lo patrino).
Sovr'esto libro jùroti mai non ti vegno meno.
Arcompli mi' talento in caritate,
ché l'arma me ne sta in sut[t]ilitate."
31. Il Vangelo, cara mia? io lo porto con me: l'ho preso in chiesa (non c'era il prete). Sopra questo libro giuro di non tradirti mai. Esaudisci il mio desiderio per carità, ché l'arma me ne se sta in consunzione.
"Meo sire, poi juràstími, eo tut[t]a quanta incenno.
Sono a la tua presenz[ï]a, da voi non mi difenno.
S'eo minespreso àjoti, merzé, a voi m'arenno.
A lo letto ne gimo a la bon'ora,
ché chissa cosa n'è data in ventura."
32. Mio signore, poiché hai giurato, io ardo tutta quanta. Sono alla tua presenza, da voi non mi difendo. Se io ti ho disprezzato, mercé, a voi mi arrendo. Andiamo a letto alla fine, perché questa cosa ci è per nostra buona sorte.


 
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