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L'Area di Broca
Indice n.80-81
 

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"L'area di Broca", XXXI-XXXII, 80-81, 2004-2005

Numeri, numeri...

 

Alessandro Franci

L'idioma dell'invasore
 

   Se per l’uomo i numeri ormai sono parte dell’esperienza, della pratica acquisita, non si può dire lo stesso per gli effetti originati dall’uso sconsiderato che ne ha fatto nei secoli. L’accanimento di fisici, filosofi e soprattutto matematici, ha trasformato un sistema: da naturale ad artificioso. Con un’abilità quasi demoniaca e adottando procedimenti sempre più eterogenei, alcune intelligenze hanno tagliato fuori una fetta considerevole di loro simili meno dotati, o per meglio dire, dotati di più sane ambizioni.
   Al punto in cui siamo però, un criterio fondato sul non numero, ci risulta inconcepibile, tanto è ovvia in ogni ragione la nozione sia dell’unico come del molteplice. E anche immaginare l’organizzazione umana prima della comparsa di una, sia pur embrionale, differenza espressiva tra singolare e plurale, è oltremodo laborioso.
   Già mille o duemila anni prima di Cristo, in Egitto, come in Mesopotamia, o in India, erano utilizzate le quattro operazioni fondamentali; ma per la risoluzione di problemi di vita quotidiana. In poco tempo, invece, si passa a binomi, polinomi, funzioni logaritmiche, calcolo combinatorio, derivate. È pur vero che l’evoluzione, ha assegnato al numero una dignità regale, permettendogli un percorso rapidissimo verso il trono della civilizzazione; ed è vero anche che senza tale oggettiva evoluzione, quasi nulla del nostro civile e incivile progresso o decadenza che sia, avrebbe avuto luogo. Tuttavia sono ancora molti gli spettatori e pochi, invece, gli addetti ai lavori. Quasi fosse – non il numero in sé – ma il suo ripetersi nella formula o nel calcolo, la lingua dell’altro e non la propria; l’idioma oscuro dell’invasore, dell’intruso. Se quindi è comprensibile per chiunque la diffusione di massa (per esempio) del computer come frutto di tanto prodigarsi, a molti resta oscura l’azione che l’ha resa possibile. Quello che la ricerca e lo studio hanno permesso, ci appare fondamentalmente, non propriamente come lo sviluppo scientifico del mondo civilizzato, bensì come un prodigio. In verità, se si esclude qualcuno, in genere ci serviamo dei numeri alla stessa stregua degli egizi di tremila anni fa. E tuttavia resta la consapevolezza dell’esistenza di un contesto indistinto, che è stato attraversato solo parzialmente in pratiche scolastiche fatte di apprensioni e dubbi, e infine tralasciato come si trattasse di opportunità più esiziale che utile.
   Ci consola e ci sovrasta la lucida espressione di Einstein davanti alla sua lavagna, icona della genialità, reliquia del nostro tempo che ognuno ha chiusa nel suo personale reconditorio.
   Infatti quando l’appagamento che suscita l’evolversi anche della più comune dimostrazione matematica, si frange sull’incapacità di comprenderne appieno cause e concetti, lo stupore docilmente scivola sulle divagazioni che un seducente linguaggio ed un ricercato ordine di segni, casualmente conferiscono all’intera disgregazione. Evidentemente da tale privilegio sono dispensati tutti coloro il cui vero piacere consista nel constatare l’esattezza del risultato finale. Gli altri, non giungendo alla soluzione per via naturale, quindi privati del puro godimento dell’esito corretto, elaborano forse strategie alternative concentrando le proprie attenzioni sul senso di vaghezza, fondamento essenziale dell’incomprensibile sperpero di numeri. La fascinazione è tale che, perdendosi tra simboli e messaggi spesso enigmatici, è facile giungere in vuoti paradisi di immagini ed evocazioni di mondi mistici. Il richiamo all’estasi per l’impenetrabile – puro nirvana – comunque placa e appaga ancor più della dimostrazione stessa.
 


 
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