Indice L'area di Broca
 
L'Area di Broca
Indice n.76-77
 

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"L'area di Broca", XXIX-XXX, 76-77, 2002-2003

CONTRO

 

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"Salvo imprevisti" e "L'area di Broca"
30 anni di vita (1973-2003)
 

Mariella Bettarini, Una r/esistenza ostinata (per i 30 anni di "Salvo imprevisti" e "L'area di Broca")

Testimonianze di:
Adriano Accattino, Ferdinando Albertazzi, Nadia Cavalera, Marco Ercolani & Lucetta Frisa, Gio Ferri, Luigi Fontanella, Attilio Lolini, Mario Lunetta, Giorgio Luzzi, Giuliano Manacorda, Marco Marchi, Loredana Montomoli, Aldo Rosselli, Luciano Valentini, Valerio Vallini, Roberto Voller.
 

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Torna su Mriella Bettarini: Una r/esistenza ostinata (per i 30 anni di "Salvo imprevisti" e "L'Area di Broca)

Dunque, trenta. Senza alcuna retorica, da quel febbraio 1973 in cui - quasi per gioco - ideammo, "varammo" il primo piccolissimo "numero unico" di "Salvo imprevisti" più di tre decenni sono trascorsi (parlando personalisticamente, metà della vita...).
   Fondata nei combattivi, utopici primi anni Settanta da Silvia Batisti e dalla sottoscritta, prendendo poi il sottotitolo "quadrimestrale di poesia e altro materiale di lotta", autogestita, autofinanziata, interdisciplinare, caratterizzata da fascicoli sempre monografici, "Salvo imprevisti" dal 1973 al 1992 ha raccolto attorno a sé vivi interessi, accesi dibattiti e circa quattrocento collaboratori, in un iter di ricerca e di sperimentazione piuttosto raro per vivacità e durata. La rivista ha dedicato alcuni fascicoli a temi come "Donne e cultura", "Cultura e Meridione", "Partiti e Movimento", "Pasolini, "Poesia e inconscio", "I bambini/la poesia, "Poesia e teatro", "Poesia e follia", "Dino Campana oggi", "Del tradurre", ecc. Si tratta di una una rivista ormai "storicizzata", citata, tra l'altro, in voluni di autori come Pasolini, Fortini, Manacorda, Asor Rosa, Zagarrio, Marchi, Giorgio Spini, ecc.
   Nel 1993 il semestrale "L'area di Broca" nasce e s'innesta su questo assai fecondo "tronco" di passione e riceca: una rivista ancora rigorosamente autofinanziata, interdisciplinare, monografica, il cui titolo richiama la zona del cervello adibita alle funzioni del linguaggio. Un periodico "di letteratura e conoscenza" che di volta in volta coniuga testi creativi a testi scientifici, narrativa a filosofia, poesia a politica, con temi come "Cervello", "Fotografia", "Acqua", "Caos", "Macchine", "Suoni", "Tempo". "Scrittura e (è) potere(?)", "Terra", "Amicizia/cooperazione".
   E oggi? Ora? Il momento storico (e dunque culturale), in Italia e nel mondo, è dei più faticosi e difficili. Che cosa ci compete? Purtroppo, quasi nulla. In questo quasi c'è, però, forse, anche la nostra r/esistenza ostinata: senza alcun risibile "trionfalismo", ma anche senza un frustrante sentimento di delusione, di sconfitta. Siamo vivi, appassionati (ancora), liberi (liberi?). Siamo ancora contro. Siamo con. Nonostante tutto, sentiamo di poterlo dire con forza, quasi con "orgoglio".
   Per la "cronaca", in questi trent'anni in redazione (ossia al lavoro, alla culturale "avventura") si sono avvicendati i seguenti amici (che adesso in redazione non sono più): Silvia Batisti, Riccardo Boccacci, Aldo Buti, Rinio Capezzuoli, Mario Dentone, Carlo Fini, Antonio Frau, Roberto Gagno, Stefano Lanuzza, Attilio Lolini, Beppe Mariano, Loredana Montomoli, Luciano Valentini, Valerio Vallini, Roberto Voller (in "Salvo imprevisti"); Nadia Agustoni, Mirco Ducceschi, Kiki Franceschi, Maria Pagnini, Liliana Ugolini (ne "L'area di Broca"), mentre l'attuale redazione è composta da: Mariella Bettarini (dir. respons.), Giulio Bogani, Alessandro Franci, Alessandro Ghignoli, Gabriella Maleti, Maria Pia Meschini, Paolo Pettinari, Giovanni Ricci (in redazione dal 1974). Redattore "onorario"(?): il cane bracco Lapo (Maleti), tanto per proseguire il durevole "gioco" ed una "fedele" vitalità.
 

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Torna su Adriano Accattino: Umor nero

M'intristiscono i compleanni, le ricorrenze, gli anniversari; sfuggo i festeggiamenti: non capisco mai che cosa ci sia da festeggiare, forse una lunga sopravvivenza o la fine di una troppo protratta abitudine? Personalmente, sono più incline a festeggiare il concludersi di un'esperienza che non un'estesa esperienza; in particolare mi fanno ben sperare le riviste che chiudono, mentre mi mettono in sospetto quelle che si trascinano per una sfilza di anni. Sopprimere una rivista mi pare più creativo che fondarne una nuova: finalmente si smobilita, le carte si rimescolano, le strade si dividono, le consuetudini si infrangono. Una rivista che cessa sbarazza il campo da tanti rapporti che erano diventati esclusivamente doverosi. È inevitabile che le iniziative si sclerotizzino e si facciano ripetitive, anche quelle straordinarie che danno vita a fogli di cultura e di poesia. Solo un mobile andamento, un'inattesa comparsa oppure un'altrettanto subitanea scomparsa, rende tollerabile partecipare a un'avventura letteraria. Ritengo sia più proficuo transitare per dieci riviste successive, giocandosi totalmente ma brevemente ogni volta, che stabilirsi in una sola che duri più di tutte quelle insieme. In effetti, però, quello che vale per me non è detto che valga per un altro. Poi io stimo Mariella e i suoi amici e ciò che hanno continuato a fare in questi anni: le mie parole non insudiciano il loro lavoro, che resta disinteressato e valoroso. Apprezzo la loro lunga fedeltà, la continuità, la passione non declinante, ma sempre accesa come le lanterne delle vergini sagge. Ah, tutta questa interminabile attesa! Un'attesa che non si è mai appannata, ma si è sempre più appuntita, un'attesa volta verso la parte da dove nessuno non sarebbe mai arrivato! Macché! Niente, e noi a piantare gli occhi e ad appuntare le attese. Mai niente per noi, figli di una generazione derubata, poeti senza occasioni, fratelli minori di fratelli maggiori che si sono mangiati tutto. Dopo il sessantatre non c'è stato che il sessantatre e poco altro: in ogni caso una manica di acchiappaposti e di spremioccasioni! E noi a tener duro con le nostre riviste trentennali o con le nostre rivistine triennali! Ad attendere che si facesse giustizia e si ridisegnassero le mappe, con la nostra fedeltà appuntita. Mariella, amici: abbiamo vissuto finora di una misera retribuzione! Facciamo il possibile perché almeno dopo di noi, dopo la nostra generazione desolata, non vengano altri pazienti integerrimi autofinanziantisi civici resistenti, cioè altri sconfitti.
 

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Torna su Ferdinando Albertazzi: Un testimone che rimane

Per Mariella Bettarini,
autrice di testate che rimangono

Oggi è domenica. Come al solito papà è sceso in cantina, lavora in gran segreto per farci una sorpresa.
   Poco prima dell'ora di pranzo è arrivato in casa con un'aria trionfante. "Ecco la sorpresa!" ha esclamato appoggiando sul tavolo un orologio a pendolo. Era tutto rotto e lui l'ha rimesso a posto. Non l'avevo mai visto così contento.
   "Un altro acchiappapolvere, come se non ce ne fossero già abbastanza in questa casa!" ha esclamato la mamma.
   Una brutta botta, ma papà non se l'è presa. Ha detto che in questo mondo sempre più virtuale, dove non si fa altro che correre per arrivare a niente e dove tutto viene subito cancellato come se non fosse mai successo, ha avuto voglia di fare qualcosa che rimanga.
   "Questo pendolo testimonierà che io su questa Terra ci ho messo piede davvero, che non sono stato un'ombra", ha detto in tono solenne. Non smetteva di guardare e di accarezzare il pendolo, orgoglioso di sé.
   Ho continuato a fissare papà per un bel po', poi ho finalmente capito.
   Voglio essere un testimone che rimane.
 

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Torna su Nadia Cavalera: Per L'area di Broca

Luce luma leader lob luna lazo love legge lata loca
Ancora ancòra antifading avance avita antica aprica
Regge recor regina la rima routier restia la reverie più ria
Empatici erge estatica erotica email etica entretien
Atavici ateliers aviette in autobus attente arlette
Dolci dulcori demoni diaconi distalici diacritici
Iconici imprevisti imprevedibili insigni irrigui intrisi
Balconi brocaclub bimba betta botta boccia butta non baratta
Regole remote rimpasta rinfranca rilancia ritempera
Ottempera offertori orioni odori onori open omnium
Che canori colori conciano cangiano camelottano charmizzano
Attivano alberano arradicano avenues ambite attizzano.
 

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Torna su Marco Ercolani & Lucetta Frisa: Con lingua di dormienti

  • Due poesie del rovescio e del dritto (2002)

C'è, all'orizzonte,
una copia delle nostre parole?
Si cammina come sonnambuli nel buio delle cose
ci trasformiamo senza capire.
Hanno appena scritto poesie
imperfette e chiare.
Due libri e questa sola, ultima pagina.
Chiediti come.

Chiediti come:
due libri e questa sola, ultima pagina.
Hanno appena scritto poesie
imperfette e chiare.
Ci trasformiamo senza capire
camminando come sonnambuli nel buio delle cose.
Una copia delle nostre parole
all'orizzonte esiste?
 

Bosco notturno
dove venni fotografato, senza un corpo.
Vengono. Tornano. Non hanno nome.
Le ombre non parlano di noi
perché noi parliamo alle ombre
e ripetiamo con lingua di dormienti
il sogno delle case sparite e dei tetti bruciati.

Il sogno delle case sparite e dei tetti bruciati
ripetiamo con lingua di dormienti
perché noi parliamo alle ombre
ma le ombre non parlano di noi.
Nome non hanno.
Vengono. Tornano.
Dove venni fotografato, senza corpo,
c'era un bosco notturno.
 

  • Per Salvo Imprevisti, L'Area di Broca e la loro voce

Dove vado? Chi mi ascolta?
La voce non si fa queste domande.
Si ostina a tenere alzato il suo piccolo suono
nel foglio e nell'aria
che lo riflettono.
Scrive sui margini.
Il pentagramma muto
non entra in nessuna lotta.
Sul rumore di fondo
del grande bianco
una voce...

Si scrive
sul rumore di fondo
del grande bianco.
In nessuna lotta entra
il pentagramma muto.
La voce scrive sui margini
si ostina a tenere alzato il suo piccolo suono
nel foglio e nell'aria
che lo riflettono.
Dove vado? Chi mi ascolta?
La voce, queste domande, non se le fa...
 

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Torna su Gio Ferri: La vostra resistenza...

   Cara Mariella, cari amici de L'area di Broca,
   o, se vogliamo, di Salvo Imprevisti... Innanzitutto "buon compleanno" e congratulazioni! Trent'anni per una rivista, per di più autogestita, sono una bella età. Non siete in molti, coetanei, in giro per le piazze della cultura e della poesia. E della... Resistenza. Metto la maiuscola poiché Resistenza, a mio avviso, è una ben precisa categoria dell'essere e del fare. Del poiéin tout court. Voi mi avete sempre confermato nella mia idea di una poesia come conflittualità della mente, come contraddizione del dire. Dalle parti vostre non ho mai notato una crisi della poesia, piagnisteo generalizzato, tipico di chi non vuol riconoscere che la poesia è la crisi stessa. Vale a dire è una eterna battaglia fra la libertà irrefrenabile degli impulsi limbici e le costrizioni della corteccia che pretende di regolamentare la potenza dell'es, là dove si forma il linguaggio, l'area di Broca, appunto.
   Certo, il conflitto eternale è duro, stressante per il corpo e per la mente, per la nostra esistenza umana e intellettuale. Ma la poesia sa ancora vincere, come testimoniano le vostre prese di posizione sempre avanzate, sul piano di un discorso prammatico che trova la sua energia rivoltosa nella qualità della forma. Salvo imprevisti, ovviamente. E di imprevisti ne avete colti e subiti e provocati molti dal febbraio del 1973. Ma li avete dominati grazie, per l'appunto, alla capacità di innovazione, di metamorfosi del linguaggio. Che in trent'anni, per voi, ha saputo evitare il manierismo e porsi sempre non come ricerca ideologicamente (intendo il termine nel senso negativo marxiano) utilitaristica, ma piuttosto come lunga marcia di avvicinamento alla verità. E la verità è nella metamorfosi biologica, non certo nella stasi di ogni potere. La vostra forza, come quella di pochi altri vostri compagni di strada (talvolta da lontano), è nella incapacità di instaurare un qualsiasi potere. "La scrittura è potere?", vi siete chiesti in uno degli ultimi monografici. La forza della scrittura poetica, creativa, sta proprio nella sua (incommerciabile) debolezza di fronte al potere oppressivo della prassi.
   Malgrado tutto, anzi proprio per le ragioni della vostra esistenza stessa, viviamo adesso l'ora più drammatica degli imprevisti. Ma era proprio imprevedibile la nostra attuale situazione per la vostra mai arresa ricerca? Avete affrontato lucidamente, negli anni, le proposizioni intime dell'eros, delle acque, delle tecnologie, dei suoni, delle scritture, del tempo, del caos... Avete troppe volte prevista la discesa a quell'abisso sul margine del quale giochiamo al rischio della poesia come vita. Ma ora arrischiamo la caduta nel baratro. Se coniugo Resistenza con la realtà culturale (?) del Fascismo al Governo del paese, se non del mondo, mi vengono i brividi e mi sento disperatamente invecchiare nella mia impotenza individuale. Ecco, allora, che mi pare assai opportuno riprendere i vostri fascicoli, le vostre discussioni, le vostre prese di posizione - in cui, per un miracolo d'intelligenza, discorso e forma poetica hanno saputo quasi sempre coniugarsi - e tirare le fila, seppur solo con una breve affermazione convinta e stimolante sulla vostra Resistenza: lavorate ancora sodo entro l'area di Broca per dare a voi stessi e a tutti noi l'energia di parola necessaria alla nuova metamorfosi, entro il dramma di questa stasi tragicamente minacciosa.

Auguri e un abbraccio

Vostro Gio Ferri

Lesa sul Lago Maggiore, 3 marzo 2003
 

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Torna su Luigi Fontanella: In viaggio (a Mariella Bettarini, Gabriella Maleti e agli altri redattori, al loro viaggio di 20+10)

In viaggio
tra mille pisbigli sommersi per ogni dove
un lento costante frusciare attorno...
We grow up togheter: storie
Fra due tali che si rivedono
Dopo tanti anni a Key West
                ... intanto che la nave scorre
silenziosa
tra linguaggi nuovi e spezzati
nel film dentro e fuori... Scivola
su striscia d'ovatta
azzurra calma infinita
persi linguaggi rimestati
spurie promesse sbalzano inavvertite
gorgo demente schiuma d'oblio, salvezze
d'un solo amore mentre
tutto sfalda
                crèpita
precipita.

È sogno e vita, questa
sovrimpressione, mano invisibile
che ti accompagni
                e ti faccia da guida
purissima. Ancora qui
di fronte a questa lunga scia di spuma impazzita
che si avvoltola in se stessa
dove sonno e acqua si rimescolano
in un Tutto denso
unico
fragile ostaggio
                ... corre la nave scorre
scivola sul suo spumoso destino
e tu chiediti, amico,
cosa vuoi essere per il resto del viaggio
 

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Torna su Attilio Lolini: Album

Sono passati trent'anni
e ancora stiamo qui
a dire e scrivere parole
e ricordare tempi andati
ma non dimenticati
una giovinezza
che mescolava fervori
e rancori. Un corteo
passa nella memoria
album di foto
ci hanno fissato
quando ancora
il disamore
non ci aveva avvolti
nel suo inutile dolore
tremanti, piagati
praticamente archiviati
con una piccola storia
che a volte torna
alla memoria
grata e imprevista
 

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Torna su Mario Lunetta: Cara Mariella,

sai quanto bene ti voglio e quanta stima io abbia per il tuo lavoro di scrittura e di organizzazione culturale, e va da sé che mi ritengo un "affiliato" alla mai morta "Salvo imprevisti" e alla vivissima "L'area di Broca". Stavolta (avevo scritto, con un refuso significativo, stravolta) però, ohimé, non ce l'ho fatta a scrivere qualcosa che questa "affiliazione" continuasse a comprovare: tempi stretti per consegna di altri lavori, impicci di varia natura, etc. Me ne dispiace davvero tantissimo. Spero solo che la mia assenza non si noti, quando si farà l'appello dei presenti. E intanto, se è ancora possibile in uno spazietto minimo, ospita nel numero del trentennale questo biglietto, che è di amicizia, di sintonia e di co/militanza non solo intellettuale, come ben sai, e come io ben so di te.
   Lunga vita all'"Area" e un abbraccio fortissimo dal tuo

                Mario Lunetta
 

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Torna su Giorgio Luzzi: Una lettera

Cara Mariella, c'è da fare una profonda premessa etica che investe la specificità dell'autocoscienza culturale e politica della nostra generazione, che è quella - non dimentichiamolo -formatasi negli anni dell'"età dell'oro" del Secolo Breve; quegli anni hanno permesso ai figli di ceti socialmente non svettanti di contribuire a riformare dall'interno la struttura stessa della classe intellettuale, di aprirla con un connubio assai ricco di entusiasmi e di speranze, di errori e di generosità, di memorie materiali e di utopie. Quella eri tu, quello ero io, e molti come noi hanno vissuto la vicenda della poesia come uno (e non fanaticamente l'unico!) degli obiettivi da tenere d'occhio perché l'autorealizzazione non risultasse dissociata dallo sfondo collettivo; quello ti portò anche, ragazza, a vivere nel rischio e nelle insonnie per strappare le tattili forme del Cristo e della Madre alle onde rapinose dell'alluvione fiorentina; e fu lo stesso spirito, confluendovi una pulsione di servizio e una pulsione di radioso evento-di-sé, ad animare la ventura di "Salvo imprevisti" e più tardi quella dell'"Area di Broca". Ho avuto il privilegio di essere chiamato alla mensa di entrambe. I titoli stessi divennero immediatamente "classici". Perché? Perché una studiatissima inclinazione nell'uso della comunicazione ne fece dei veri e propri campi semantici, aree magnetiche della comunicazione aperta. Mi stimolava - da procacciatore di parole e frenatore di certezze - quello che stava dietro questi titoli, ed era appunto una somma aperta e gagliarda di ipotesi. Primo: che cosa si apre dopo "Salvo imprevisti"? Si apre la parte propositiva, che è taciuta. Se non capitano inconvenienti... Di quale tipo? L'importante era indirizzare l'attenzione sugli imprevisti e stimolare delle inchieste individuali. Secondo: chi è, chi era, che cos'è, dov'è, questo/a Broca? Un giorno mia figlia, allora studentessa di medicina, vide sul tavolo la rivista e mi chiese in che relazione fossero i miei interessi letterari con la storia della neurofisiologia. Rimasi allibito. Me lo spiegò divertita. Sono stato alcune volte anche alla mensa di Broca: si parlò di acqua, poi di scrittura e potere. A ben vedere c'è una strana relazione tra i due soggetti, come per l'amore della ingrata ispiratrice di Catullo: il tuo amore, le rinfaccia il poeta, è così inconsistente che conviene scriverlo nel vento e sull'acqua che corre ("in vento et rapida scribere oportet aqua"). Viste nel corpo della parola, le due condizioni fanno giunto, si perdono una nell'altra, si rafforzano unicamente nella tremenda assolutezza, per così dire trascendentale, del suono evocato; e questo suono, carico di civiltà e di anni, travia l'oggetto stesso del pensare, lo porta fuori di sé, se ne fa despota. Questo per 1'appunto accade a una rivista militante e non dogmatica. Ma quanto altro partirebbe da questo punto e si aprirebbe nel ventaglio plantare di una foce dalle mille nervature. Mille nervature sono tante: vi/ci siano auspicio di gloriosa durata. A te, a Gabriella e alla redazione tutta il mio augurio fraterno,

Giorgio Luzzi
 

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Torna su Giuliano Manacorda: Testimonianza per "Salvo Imprevisti"

Grazie alla generosità di Mariella Bettarini durata ininterrotta dal febbraio del 1973 con l'invio di "Salvo Imprevisti" e poi continuato con "L'area di Broca", credo di possedere l'intera collezione delle due riviste e ora, riguardando quel primo numero, e poi via via i successivi, sembra di ripercorrere non solo un ormai lungo tratto della mia vita ma - ed è quel che più conta - il percorso sempre fedele, intelligente, combattivo di un trentennio di vita letteraria, culturale, politica: un trentennio di storia del nostro Paese.
   Un trentennio - va subito precisato - visto sempre dall'altra parte del Potere, come critica e proposta di un altro modo di concepire la vita e il suo impegno e i suoi risultati in un campo specifico sempre vissuto nella totalità di un lavoro mai perduto nelle bizantine discussioni di tecnica e di gusto letterari. "Salvo Imprevisti" si arrogava - come scriveva la Bettarini nella prima pagina del numero 0 in cui spiegava i perché della pubblicazione - l'intenzione di contrapporsi all'informazione manipolata, trasmessa dalla stampa ufficiale..." una cultura dal mondo di coloro che non hanno mai fatto né pensato la cultura, ma l' hanno soltanto subita".
   In realtà, molti di questi primi destinatari sono stati poi parte viva della rivista come collaboratori, poeti, politici finendo per darle il suo carattere inconfondibile di testo libero, polemico, indipendente - per quel che riguarda tanto il mondo politico quanto quello letterario e culturale.
   Ma ora, dopo trenta anni di così generoso e coraggioso impegno, quale il giudizio che possiamo dare non della rivista ma del mondo nel quale essa - ora come "L'area di Broca" - continua ad uscire? Il Paese è passato - peggiorando! - dall'andreottismo al berlusconismo, la poesia, se esiste ancora, oscilla tra estremi residui avanguardisti e ricostruzioni più o meno intimiste (dopo Pasolini, Montale, Caproni esiste un poeta che passerà alla storia?), il romanzo attende non dico un Manzoni ma almeno un Moravia... Lo so, sono considerazioni di un vecchio ormai sfiduciato per il quale "L'area di Broca" è ancora un soffio di intelligenza e di onestà intellettuale - e non solo; certo, molte altre cose ci sono: ci mancherebbe, quello che per me va un po' sfiorendo sono quella speranza e quella fiducia che nel 1973 erano vive e si rinfrancavano nella lettura di "Salvo imprevisti" e che oggi si sono alquanto attenuate nei paralleli campi della letteratura e - ancor più! - della politica: scrivo mentre si va combattendo l' ennesima guerra della mia esistenza e mentre ci amministra un potere di cui non so se percepisco più la pericolosità o la vergogna.
 

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Torna su Marco Marchi: Un unico progetto

Cara Mariella,
mi cogli proprio in un brutto momento, per una serie di ragioni che non è qui il caso di spiegarti. Ma non voglio almeno simbolicamente mancare a questo storico, pubblico ed importante appuntamento anniversario in cifre tonde: trent'anni pensando a "Salvo imprevisti" e alla sua intrinseca continuazione dell'"Area di Broca", scanditi al loro interno, di nuovo secondo cifre tonde, in un ventennio e in un decennio.
   Mi cogli in un brutto momento, del resto, ma non del tutto alla sprovvista o impreparato, dato che non da adesso sai quanta stima e quanta amicizia mi leghino a te e alle tue creature di carta, siano esse le riviste, i libri editi o scritti, secondo quell'organico, sostanzialmente omogeneo ed unitario impegno intellettuale e artistico che, all'insegna dei valori che davvero contano, vivi e condividi con altri da tanto tempo.
   Ricordi? Il minuscolo numero unico di origine della rivista nasceva così nel febbraio 1973, quando "Salvo imprevisti" mancava ancora di uno stabile comitato redazionale e di un'autorizzata periodicità. Un lavoro caparbiamente corrosivo radicato nel quotidiano contro "il potere della carta stampata con grandi rotative grandi denari grandi etichette editoriali", nella fiducia pauperistica dei mezzi di diffusione e fondanti di un "minimo canto" abbinato ad "altri materiali cartacei eppure di lotta", contro "il potere politico economico poliziesco burocratico accademico curiale, e chi più ne ha più ne metta". Un po' manzonianamente nonostante la propiziatoria epigrafe gramsciana ("quei dieci o duecentomila lettori", e più avanti "una cultura dal mondo di coloro che non hanno mai fatto né pensato la cultura, ma l'hanno soltanto subita"), Mariella Bettarini, sicura voce poetica di questi anni e degli anni a venire, intraprendeva con convinzione la sua operazione alternativa di arginamento degli errori e di risarcimento culturale. Calamitati da un ferma volontà di ricostruzione dalle fondamenta di una cultura nuova, presupposta esistente ma da ricercare e valorizzare insieme in un progetto di riconciliazione paritaria marxista del lavoro, si strinsero accanto alla Bettarini nel "contrastare la voce del padrone nei regni della carta che così spesso ci coltiviamo" Silvia Batisti, Aldo Buti, Rino Capezzuoli, Antonio Frau, Roberto Gagno, Stefano Lanuzza, Attilio Lolini, Giovanni R. Ricci, Luciano Valentini e, poco dopo, Roberto Voller. La redazione originaria risulta operante a partire dal n. 1, gennaio-febbraio 1974, quando il "quadrimestrale di poesia e altro materiale di lotta" ha già alle spalle, in attesa di autorizzazione, un numero unico e un numero zero (da Riviste di poesia a Firenze 1958-1985, Stazione di Posta, 1985, poi rifuso e aggiornato nell'intervento-capitolo La poesia, in Istituzioni culturali in Toscana. Dalle loro origini alla fine del Novecento, Atti del Ciclo di conferenze, Firenze, Gabinetto G.P. Vieusseux, gennaio-marzo 1995, a cura di F. Adorno, M. Bossi e A. Volpi, Polistampa, 2000).
   Posso allora ripeterti, tornando a sottoscriverlo, un elogio all'entusiasmo, all'anticonformistica passione letteraria, al coraggio, alla perseveranza, e senz'altro alla tua personale bravura di poeta e scrittore, che attorno a sé, per irradiazione e solidale differimento, ha saputo costantemente creare un ambiente: un luogo comune di raccolta, di confronto, di protesta e di proposta, consapevolmente sensibile, da una specifica ottica fiorentina di partenza subito allargata, al mutare degli anni e al sempre nuovo proporsi di avvenimenti, condizioni, relazioni e problemi societari che alla dimensione di un esercizio "iperstorico" come quello letterario (Pasolini insegna) sempre, per implicazione profonda, esistenziale e in questo civile, competono. E posso così limitarmi, oggi, ad un caldo e già di per sé significativo, nelle sua difficoltà, "evviva", indirizzato a te, ma da spartire come al solito con Gabriella, con l'attuale redazione dell'"Area" (composta, oltre che da M. Bettarini e G. Maleti, da Giulio Bogani, Alessandro Franci, Alessandro Ghignoli, Maria Pia Moschini, Paolo Pettinari, e Giovanni R. Ricci, quest'ultimo redattore fin dal 1974)* e con i più di quattrocento collaboratori che "Salvo imprevisti" e il suo prosieguo sono stati in grado di coinvolgere in un progetto: un unico progetto che continua, duttile e resistente, fedele a se stesso e tuttavia disposto, nel ridefinirsi e precisarsi giorno dopo giorno senza infingimenti e senza pregiudizi, a crescere, a conoscere sempre meglio se stesso per poter sempre meglio conoscere la realtà che ci circonda: per poterla affrontare, cambiare, creare. Evviva, Mariella, e ancora buon lavoro da

Marco Marchi

* Nota redazionale.
 

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Torna su Loredana Montomoli: Gennaio 1978 - Crevalcore

L'appuntamento è alla vasca della stazione di Firenze. Con Attilio arriviamo prima dell'ora stabilita e andiamo in giro per svendite. Nel sottopassaggio prendiamo panini imbottiti, poi di corsa alla vasca. Il mio arrivo suscita clamore; ho una testa di ricciolini quasi dorati, un pellicciotto turco di pecoro bianco ed una lunghissima sciarpa bianca e rosa schoking.
   Si radunano i bagagli, qualcuno inizia a tirar fuori panini, per primi Attilio e Mariella, e mangiando ci si avvia al binario di partenza. Arriva il treno che è affollatissimo. Ci sistemiamo nel corridoio in qualche strapuntino. Fuori piove, ci sono rigagnoli, fiumiciattoli e pozzanghere gialle; Riccardo ci vede dei cigni. Vicino a Bologna c'è la neve, si esce dalla galleria in una luce strana, bianco lunare.
   A Bologna sostiamo in attesa del treno per Crevalcore, ci fermiamo al bar, prendiamo caffè e latte bollente. Silvia si distrae, ha adocchiato uno strano tipo con occhiali, radi capelli neri e occhi a matto; io dico che è un killer, subito Silvia conferma: l'ha visto telefonare con aria misteriosa, avrà una bomba nella valigetta? È sicuramente un killer. Poi ripartiamo.
   L'arrivo in una stazioncina piccola, deserta, umida, ci sconcerta; non aspettavamo la banda, ma è desolante. Ci si avvia, sotto una pioggerella sottile, lungo un viale di pioppi o faggi o platani, non so, sono potatissimi e neri. Per una porta quadrata entriamo in un paese piccolo, stinto e scortecciato, meno male che ci sono i portici! La Biblioteca: una scaletta stretta con ringhiera, di sopra poca gente sprofondata in divani e poltrone; uno parla di poesia e rumore.
   Depositiamo cappotti e bagagli ed entriamo in sala. Quello che parla è Savio e sta terminando, è del gruppo "Aperti in squarci". Si intravedono facce note: Ermini, Guglielmi, Fiorentino. Danno la parola ai Salvi Imprevisti, il tema loro assegnato è 'poesia compagna'; loro hanno fatto mettere un punto interrogativo finale e gli interventi, letti da ciascuno dei redattori presenti, contestano questa attribuzione. Sono sì dei marxisti ma ciò non vuol dire che facciano poesie sull'operaio o sulla fabbrica. Le linee ed i linguaggi, poi, sono diversi da uno all'altro e sarà dimostrato nella lettura dei testi, al mattino dopo. C'è chi annuisce e chi scuote la testa, qualcuno incassa e si vede che si riserva di contestare.
   Mariella svolge il suo intervento: 'Donne/linguaggio/poesia'. E' molto bello, femminista nel senso giusto. Si vedono i soliti sorrisetti maschili complici e quasi imbarazzati, forse non vogliono farsi vedere dalle poche donne presenti. Mariella elenca elementi femminili da recuperare anche nel linguaggio, la parola 'vagina' scatena subito l'idiota di turno che sbraita: "non si dice così!", Silvia che è in piedi alle sue spalle replica: "si dirà fica, è lo stesso!". Invece Mariella vincendo i suoi residui pudori ha inserito anche quella, quando dice che dire 'bella fica' è sinonimo di razzismo e non di libertà. Ma tutto tace.
   Il Minarelli, che è l'organizzatore del Convegno, sembra un novello moschettiere, sfoggia capelli a mezza tacca, baffi e bar
betta a punta. Del resto si ha l'impressione di vivere in un'epoca già passata, circolano ragazzi con capelli lunghissimi, con facce strane. Parla Sitta, di "Tam Tam", attacca la scrittura lineare, i bravi sono solo loro: con poesia visiva, rumori (anche lui ha un nastro come lettura) e parole incomprensibili; la rivoluzione si fa così!
   Tutti sono annoiati, parlottano, sbadigliano e sprofondano sempre più nei morbidi divani. Prende la parola Guglielmi precisando che non è un poeta; fa un'analisi interessante della poesia del novecento e del linguaggio in genere, dice che non sempre gli orientamenti politici si rispecchiano nelle lettere, che uno di destra può essere più rivoluzionario di uno di sinistra... parla molto, ai lati della bocca gli si forma una bava bianca, un ciuffo di capelli cade dalla parte opposta alla scriminatura; i poeti sono affascinati e inebetiti. Attilio informa che è il traduttore di Céline, io e Riccardo gli perdoniamo anche la bava bianca.
   Minarelli propone di leggere i testi di seguito al dibattito; è deluso, mancano molti gruppi e molti "nomi" promessi. C'è una ribellione generale, i Salvi Imprevisti vogliono mangiare: siamo con un panino, abbiamo fame, caso mai leggeremo dopo; ma non era domani mattina la lettura? Si potrebbe cenare con calma e poi dormire, siamo stanchi! Viene deciso per una via di mezzo: a cena e poi lettura dei testi.
   Dopo cena ci fermiamo ad un bar per un caffè, siamo straniti, ammosciati. Torniamo alla Biblioteca, c'è la lettura dei testi. I poeti si avvicendano rapidamente, il pubblico si è ancora ristretto, ormai sono rimasti solo i poeti. Il gruppo dei Salvi Imprevisti è sempre più nero, anche perché il banchetto allestito da Mariella, con libri e riviste, è stato depredato totalmente; sono rimasti solo gli elastici ed i foglietti con i prezzi, e neanche una lira!
   Prima di mezzanotte siamo al nostro albergo che ci avevano offerto come "non squallido"; invece è davvero uno squallore: camere grandissime con lettini di ferro. Silvia ci sente una presenza, c'è una specie di buco nel muro, nido di fantasmi. Ci chiudiamo nelle rispettive camere. Al mattino ci troviamo dabbasso, al bar. Silvia dice che le fanno male i reni; a Mariella si è risvegliato il trigemino e, sotto il basco, esibisce un'aria sofferente e dolce.
   Cerchiamo di rintracciare, telefonicamente, Roversi ma non lo troviamo; decidiamo quindi di ripartire per Bologna dove ci fermeremo a mangiare. C'è un sole pallido e Crevalcore appare ancora più scortecciato. Ci fermiamo per fotografie, poi si riparte; solito filare di neri alberoni potati.
   A Bologna si passeggia fino all'ora di pranzo, con Silvia e Giovanni guardiamo le vetrine dei dolci e dei salumi. Cerchiamo la "Trattoria dei Poeti" segnalata da alcuni passanti; poi, presi dal freddo, entriamo a caso nel primo che capita. Tortelloni, pietanze varie e crème caramel. Nel treno, al ritorno, parliamo di intopinamento con Riccardo, dell'incredibile Minarelli e dei ladri di riviste.

gennaio 1978
 

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Torna su Massimo Mori: A Firenze...

Quando nell'ormai lontano 1983 con altri amici fiorentini si decise di dare avvio all'esperienza intergruppo di Ottovolante, già "Salvo imprevisti" si presentava come uno dei più importanti punti di riferimento nel panorama delle riviste, e non solo a Firenze, e fu immediatamente coinvolta in quelle vicende. Marco Marchi, il più esperto studioso di queste fenomenologie, sull'onda di quegli intendimenti pubblicò successivamente il volume Riviste di poesia a Firenze 1958-1985 (con "Stazione di Posta" e nell'ambito delle iniziative del Circuito della poesia) e tracciò già allora la prima, rilevante stagione della rivista di Mariella Bettarini & Co.
   Successivamente ho sempre seguito con interesse la pubblicazione, anche nella trasformazione verso "L'area di Broca".
Rimanendo al periodo sopra ricordato, desidero in questa breve nota scostarmi un attimo dai due periodici che ora compiono assieme trent'anni, e richiamare anche l'importanza della Collana Gazebo che, fondata nel 1984 da Mariella Bettarini e Gabriella Maleti, ha da allora fittamente accompagnato l'uscita delle due riviste.
   Delle Edizioni Gazebo, come direttore degli Incontri letterari alla Giubbe Rosse ho ospitato decine di presentazioni e desidero qui testimoniare come il lavoro di editing della Bettarini e della Maleti abbia garantito quella dignitosa qualità che mi ha permesso di conoscere molti autentici poeti, senza cadere nei giochi manieristici, di salotto o di giardino, che degradano tanta produzione poetica. È quindi grazie a loro due, alla loro tenace, sostantiva attività letteraria che Firenze può ancora vantare di offrire, assieme ad alcune altre, due riviste ed una attività editoriale di indagine e proposizione poetica che sono di riferimento, di guida e di insegnamento nel panorama nazionale.
 

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Torna su Aldo Rosselli: Nel trentennale di "Salvo imprevisti" e de "L'area di Broca", beneaugurando...

In questi trent'anni la Firenze (di Mariella, oltre che anche mia) sarebbe stata scevra della culturale, militante oltre che cognitiva testimonianza di Mariella Bettarini, non solo direttrice delle succitate riviste, bensì anche della sua militante poesia, prosa e saggismo che tutt'insieme hanno lottato contro la continuativa quanto malinconica provincializzazione della cosiddetta "culla delle arti". Ben mi ricordo fin dall'inizio della pubblicazione di "Salvo imprevisti" l' "attico" - spiritualmente parlando - straordinario di borgo Sant'Apostoli dove si respirava l'atmosfera di una cultura del profondo costretta tra censure e interdizioni emananti dal resto della cittadina pur sempre dominata dai remoti ricordi di tempre quali Michelangelo, Raffaello, Masaccio, Donatello, Cellini. Piccolissima casa stipata di libri in mezzo ai quali Mariella, col suo invincibile ottimismo, rasserenava gli animi per continuare insieme una disperata testimonianza nella scrittura.
   Per mio conto le poche ma per me assai significative collaborazioni riuscirono almeno temporaneamente a risollevarmi, da fiorentino che non intendeva in alcun modo rinnegare la propria fiorentinità. Non era spenta la speranza che il clima culturale fiorentino potesse rianimarsi affinché la sparuta cittadinanza culturale potesse - almeno nel suo immaginario collettivo - sentirsi parte di una comunità cultural-social-politica entro la quale battersi per una resuscitata "crociata" dai valori etici e laici. Fuori di metafora (se metafora è...), il brulichio o il rumore di una cultura in rapida trasformazione fin dalla definitiva vittoria contro il nazi-fascismo nostrano. Firenze intanto (almeno per quello che riguardava le istituzioni culturali) non fece che lentamente rattrappirsi come una prugna secca.
   Nel frattempo alcuni individui, Mariella Bettarini in primis, tenevano accesa la miccia di quella potente cultura militante ma anche e soprattutto pensante che passava attraverso i vari Piero Calamandrei, Enzo Enriquez Agnoletti, Tristano Codignola, Eugenio Garin, il sindaco Fabiani ed altri certamente non trascurabili; mentre Firenze tentava di mantenere la sua antica e nuova dignità attraverso solitudini che probabilmente a tutt'oggi non sono state raccontate in sufficiente dettaglio.
   Vorrei concludere questa mia modesta testimonianza con l'augurio che Mariella e la vasta cerchia di amici e collaboratori - che tentano di combattere la sua stessa battaglia - non abbiano a scoraggiarsi.
 

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Torna su Luciano Valentini: Contro ogni leggerezza dell'essere

Poesia (o letteratura) e filosofia, nella mia concezione, sono collegate insieme, rappresentano due facce di quella stessa entità, che si chiama esistenza: oltre a ciò, esse devono essere intese come esercizio di vita e, pertanto, sono collegate all'Etica.
   Se guardiamo alla realtà del mondo, le cose appaiono senza distinzioni e, quindi, le nostre sensazioni ed opinioni non sono né vere né false: ad esse non bisogna dare fiducia ma occorre essere imperturbabili, poiché la realtà dell'Essere è immisurabile ed indiscernibile; non possiamo vedere distintamente in quanto senso e ragione non sono capaci di verità e di falsità. Tutto è Apparenza, tutto appare irreale; soltanto l'Etica, che è l'unica faccia empirica dell'Essere, che è immobile, immutabile e nascosto, è eterna, mentre le cose sono indifferenti e sottoposte al mutamento come tutti i fenomeni apparenti.
   Che cos'è il Tempo? Che cos'è lo Spazio? Essi sono soltanto apparenze mutanti. Noi stessi siamo e non siamo.
   E che cos'è il Nulla? Esso non è il contrario dell'Essere, ma è soltanto il velo nero che lo nasconde, è l'assenza delle cose, cioè delle apparenze (e non dell'Essere...), della realtà; è quel telo oscuro (naturalmente la parola "telo" è una metafora, poiché esso è qualcosa...) su cui appaiono i fenomeni sottoposti al divenire e verso cui la realtà del mondo si disperde e si annienta, poiché Tutto (tutte le cose concrete, tutti i fenomeni apparenti e mutanti, tutta la realtà) va verso il nero Nulla, avvicinandosi così all'Essere, che rimane sconosciuto, poiché l'unica cosa che di Esso sappiamo, da un punto di vista razionale, è che Esso è e non può non essere.
   D'altronde, se guardiamo alle nostre vicende intellettuali e culturali (oltre che esistenziali), tutto ciò appare di una chiarezza folgorante. Il passato è irrecuperabile ed il futuro è sconosciuto; ciò che è certo è soltanto il presente con le sue apparenze, la cui contemplazione ci fa avvicinare, attraverso la via estetica, allo svelamento dell'Essere.
   Adesso è mattino, mi sono svegliato da poco (una notte agitata...), ho preso il caffellatte nella piccola cucina e poi mi sono seduto al tavolo pieno di carte e di libri, sparsi in maniera confusa, davanti alla grande portafinestra di sala: laggiù c'è la valle dove qualcuno ha acceso il fuoco per bruciare le sterpaglie, ed il cui fumo annebbia un cielo incredibilmente azzurro e luminoso.
   Tutto ciò mi appare, perché esiste e, istante dopo istante, inevitabilmente muta e, quindi, non esiste più. Così siamo noi, così sono i nostri pensieri ed azioni. Il senso dell'Essere è nascosto, ma possiamo cogliere le mutevoli apparenze dell'esistenza.
   Sono lassù tutti i numeri di "Salvo imprevisti": lassù in alto, nell'ultimo scaffale dell'immensa libreria che occupa tutta la parete. Sono lassù, mi appaiono: anch'essi sono apparenze. Li rivedo tutti con le loro copertine di diversi colori, secondo l'argomento trattato, e con l'icona della mano aperta: era una bella immagine, molto significativa. E quei numeri di "Salvo imprevisti" si ricollegano alle immagini dei volti dei suoi redattori, che ricordo con nostalgia e che si riunivano nell'abitazione di Mariella in Borgo SS. Apostoli. Mi ci aveva portato, nel 1974, Attilio Lolini da Siena, al quale era stato presentato da Cesare Viviani, che aveva curato la pubblicazione di una mia poesia dai versi lunghi, intitolata "Ambulante", nella rivista "Quasi".
   Ricordo quelle riunioni infuocate, quei serrati dibattiti; poi, dopo molti anni, mi volli appartare, uscii dalla redazione perché avevo bisogno di riflettere da solo e di esercitare in modo completo la mia libertà di pensiero e di azione. Ma ho sempre ricordato quelle immagini, che mi apparivano nella mente: anch'esse erano apparenze...
 

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Torna su Valerio Vallini: Un invito distante una vita

E così l'ho raccolto un invito distante una vita
"Non ti muovere - dice - lasciati servire".
                Giù dal terrazzo degrada
un seguitare di tetti e Firenze
respira nel suo fiume, nella cupola di rosso sporco.
"Era astuto il Gianni, e acuto anche,
e amante di tutti i sapori" seguita con una luce
come allora guizzante
nello sguardo.
"E il tuo ragazzo?" chiedo.
"È morto nella stanza in fondo, quella che dà
sul cielo. Io ti ho cercato, come ho cercato
altri, per farmi dire com'ero,
                come ti sembravo in quegli anni,
di rivolte:
"Salvo imprevisti e altro materiale di lotta".*
Una mosca si posa sul bicchiere, poi sul bordo
del piatto.
Procede a tratti, ubriaca d'aceto e miele.
Basterebbe, a ucciderla,
                un fazzoletto di carta, ma Lino
getta un urlo, un soffio, e lei s'invola beata, si tuffa
e s'annega nel tramonto.

14 aprile 2003

* Erano gli anni della comune militanza in "Salvo imprevisti" che portava la scritta: "Poesia e altro materiale di lotta".
 

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Torna su Roberto Voller: Un saluto...

Un saluto, per i trent'anni della rivista, dal più profondo del cuore, schiantato dalla pena di questi giorni (ultimi di marzo 2003).
   Un saluto affettuoso, caldo com'è il sangue quando è in noi (appena sgorga raffredda subito).
   Un saluto da chi è stato in redazione per tanti anni, per tanti eventi. "Salvo imprevisti" nacque sul corpo di Allende, sul trionfo di Pinochet (uno dei molti criminali ad uso imperialista) e per tutto questo tempo è stata sempre dalla parte dove batte il cuore.
   Un saluto e un augurio che non sia solo bandiera di vento, ma un fatto compiuto: la Pace!
   Anche la scrittura, certa scrittura, serve, vale. Trent'anni cent'anni sempre!
 


 
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