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L'Area di Broca
Indice n.71-72
 

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"L'area di Broca", XXVII, 71-72, 2000

SCRITTURA E (E') POTERE(?)

 

Eleonora Pinzuti

Pietose memorie: la solitudine di Pier Paolo Pasolini
 

Il 2 Novembre 2000 si è compiuto il venticinquesimo anno dalla morte di Pier Paolo Pasolini. Quella notte del 1975 si perdeva, in modo grottesco e atroce, un poeta, un indefesso pensatore, un uomo coraggioso. A leggere i giornali d'epoca ci si sente pervadere da un senso di irrealtà, da un'interrogazione incredula e senza risposta: lo scempio e il martirio si perpetrarono sul nome, sui concetti, sull'intero senso d'esistere di Pier Paolo Pasolini.
   Gli amici d'allora si persero in rimpianti retorici, spesso confusi e timorosi proprio a causa della figura scomoda sulla quale si esercitavano i commenti; i nemici invece, pronti e agguerriti, finirono di straziarne la memoria, di deturparne perfino il pensiero, lucido e appassionato.
   Pasolini morì solo. E, incredibilmente, continua a camminare da solo, con una picciol compagnia fedele ma impotente, pare, a scuotere l'oblio di cui si compiace la gran parte della "massa acculturata" di questa "italietta". Oggi alcuni studiosi si divertono a sottolineare gli errori di prospettiva linguistica, o di interpretazione politica. Gli appassionati sostenitori di una sinistra dispersa non gli perdonano le posizioni contro l'aborto e il divorzio mentre la sua morte, il suo acutissimo non esserci, pare soffochi qualunque pretesa di riflessione perspicace e attenta.
   Quando Pasolini morì schiacciato dall'Alfa 2000 chi scrive aveva da poco aperto gli occhi e davvero muoveva i primi passi sul terreno che gli è proprio.
   Forse questa distanza ha permesso di analizzare i fatti, di osservarli senza sovrastrutture: la non contemporaneità con gli accadimenti di allora ha lasciato intonse le domande.
   Pasolini morì perché era un uomo solo, morì anche perché omosessuale e soprattutto forse (il dubitativo è sempre d'obbligo quando si vuole circuire un brandello di verità) come tale aveva osato porgere interrogazioni ad una società sempre sull'orlo del baratro come era quella in cui lui ha vissuto, zeppa di sciocche e superate teorie freudiane, di perbenismo fasullo e di paure ora irrazionali ora oscurantiste. Fu la sua stessa omosessualità, cosa pare trascurata, a muovere gran parte del suo pensiero e della sua struttura gnoseologica. Il timore di perdere le sue compagnie rubate alla notte, alla quale spesso si relegavano gli amori dei non aventi diritto (compresi gli/le adulteri/e) lo portarono a muovere discorsi a favore della famiglia tradizionale: ma vale la pena sottolineare come la distorsione di un pensiero tanto lucido è stata indotta anche e proprio dalla cultura italiana di quegli anni, che ostracizzava e processava senza scampo: i comunisti da un lato, con l'espulsione di Pier Paolo dal partito per i fatti del 1947, e i fascisti con i loro agguati alle rassegne cinematografiche dove si presentava Pasolini dall'altro, uniti dalla loro assurda cecità e pochezza spirituale (1). Se leggiamo le lettere che scriveva ai sodali, si intuisce quanto tutti gli facessero notare, con impressionante puntualità, la sua condizione in fondo di uomo desiderante, amante e libero come forse loro non lo erano, costringendolo a dare continue e emotivamente credo assai costose spiegazioni (giustificazioni?) che oggi ci regalano tutto il peso della sua onestà e tutta la cecità della cultura di quegli anni (2).
   Ci si chiede, di fronte al coraggio di Pasolini, cosa facessero i vari Penna, Visconti et similia.
   Pasolini, com'è noto, morì in un agguato fin troppo facile per chi lo compì, grazie proprio alle abitudini erotiche di Pier Paolo, avallate (e forse tacitamente consigliate, in mancanza dell'astinenza) da una morale che poco avrebbe tollerato amori omosessuali alla luce del giorno e fu questo aspetto della sua vita intima a regalare una blanda condanna al Pelosi e forse l'impunità a chi era con lui quella notte. Del resto tutti sanno con quanta superficialità furono condotti i rilievi e portate avanti le indagini, per quanto sia difficile "nomarle" in tal modo. Quante tracce si persero e furono perse con l'agghiacciante motivazione del "delitto tra froci" e del "ben gli sta": testimone agghiacciante ne è una fotografia dell'epoca che mostra un poliziotto che se la ride accanto al corpo sfracellato di Pier Paolo la mattina del 2 novembre, giorno del ritrovamento del cadavere. (cfr. Carla Benedetti, L'ombra lunga dell'autore, Feltrinelli, Milano 1999).
   Ma neppure oggi pare che Pier Paolo sia sollevato dalla sua vera, imperdonabile colpa: il coraggio, l'onestà, e forse la fiducia nei confronti di chi gli era vicino.
   Rileggendo infatti gli atti del processo, i testi che gli sono stati dedicati, compreso l'orrendo libercolo che Pelosi fece uscire con agghiacciante e motivata contemporaneità con quello di Giordana dove si tornava ad avanzare l'ipotesi della presenza di più assassini per assumersene invece l'intero vanto/colpa, i quotidiani di allora, i film girati dallo stesso Giordana e da Grimaldi, emerge con evidenza un fatto macroscopico, e cioè che a tutt'oggi ci sarebbe la possibilità di chiarire elementi, interrogare i "Salvietti" dell'epoca, vedere di rintracciare chi allora vide, i residenti all'idroscalo, i marchettari della stazione, chissà oggi meno timorosi di al1ora. O forse no. Forse smuovere quelle acque, riesumare ancora il fantasma di uno dei pochi uomini che il nostro paese ha dovuto (e sottolineo dovuto), ascoltare torba ancora coscienze e disturba carriere. In un paese dove ci si è abituati ai vari "Chi l'ha visto", che scioglie intrichi più complessi del labirinto di Minosse per aiutare privati (e rispettabili) cittadini, o dove Lucarelli con "Blu Notte" illumina a distanza di decenni omicidi che il tempo aveva oramai imbalsamato nel nox rationis, dove con l'informatica si rintraccia praticamente chiunque, non c'è nessuno che si interessi di Pier Paolo Pasolini. Ancora lo si lascia solo, lo si abbandona ai "chi lo sa", ai dubbi, si lasciano morire magari testimoni che tuttora forse solcano le nostre strade e non si diffondono quegli appelli che funzionano tanto bene per ritrovare padri o madri mai conosciute e che hanno abbandonato l'anziano signore cinquanta o sessanta anni fa.
   Pasolini ancora dunque solo, con il suo carico di profonde ingiustizie, con la sua orgogliosa sofferenza e con la sua morte, intorno alla quale questo silenzio tutt'altro che pietoso.
 

Note

  1. Quando si leggono i commenti di Carlo Salinari a Ragazzi di vita e le accuse a PPP di decadentismo borghese, viene da pensare a Klaus Mann e al suo disagio verso la Russia comunista che ostracizzava il libero pensiero e l'omoerotismo con argomentazioni analoghe ed effetti analoghi a quelli, ahimé, del nazismo.
  2. A questo proposito si legga la lettera a Giacinto Spagnoletti del 29 settembre 1953. "(...) Io sarei un introvertito, clinicamente "fisso" ad una fase narcissica, non dotato cioè di possibilità conoscitive, di oggettivazione, di coscienza storica, insomma (...). (Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, Einaudi, Torino 1994, pag. 156).

 


 
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