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L'Area di Broca
Indice n.71-72
 

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"L'area di Broca", XXVII, 71-72, 2000

SCRITTURA E (E') POTERE(?)

 

Domenico Cara

Il (non) potere della scrittura
 

Solo molto più tardi ho imparato che le parole
sono più potenti delle azioni - e spesso rido
quando sento l'amata frase: "Fatti e non parole!"
Joseph Roth

La scrittura che tenta di recuperare la libertà non ha potere, e ovviamente non è una pittura più quieta e ingorda, né come la scultura "lingua morta". Il suo discorrere è eversivo, procura grane, ire intenzionali, sembianti multipli di opposizione rovente. Il "potere" reale l'ascolta e immediatamente la uccide, ed essa muore sognando le immagini, che aveva avviluppato a se stessa con la sua coerenza. E inoltre viene rincorsa lungo i suoi tragitti ideologici, le ironie sottese, il ridere dei contrasti che si assiepano nell'area (e nel percorso) delle diverse tensioni. In effetti codesta pratica si dispone puntualmente per l'urto e la solitudine, per assidui turbamenti ed echi di difficili rinascite. Essa si azzuffa con le varie realtà e convinzioni, e poi trasforma il combattimento in soluzioni defraudate, anche se necessarie all'epoca in cui si esercita a raccontare il pessimismo sociale, il molteplice rien va dei processi concorrenziali e le illecite misure di comportamento della condizione umana, politica delle tribù che fanno ressa puntualmente intorno al totem. La sua fisionomia adulta (e insidiosa) è illimitabile, riscrive se stessa su codici di speranza e di altra utopia. Non ha potere perché abita il rischio della vita emarginata, cavalca la tigre di molti controcodici istituzionali, aggredita dalle sue stesse ribellioni e immagina estremi limiti di conflitto nella generale jungla delle sedizioni esistenziali, nei soprusi emancipati, nei manifesti di ogni civile sparizione di diritti comuni, in cui esprime il suo ethos. La salamandra della storia spia i suoi sommovimenti emozionali, le tecniche di discussione forte, ciò che interroga la lingua della scena in cui vive il respiro dell'essere e del non-essere, più vagabondo che integrato, più anima persa che corpo del sogno spigoloso e quotidiano. Il potere è da tutt'altra parte, la sua bocca carnosa sugge ogni cosa fino all'ultima goccia di sangue. E sa che d'altri argomenti esso non sa parlare, né cerca nella scrittura segni di propria, umanizzante attendibilità!
   L'altra scrittura, quella d'amore e dell'idillio, ha un potere ameno, si svolge in anfratti sentimentali, poi si dimette dal gorgo: tenera lingua, ornamento specioso, eccessiva vacuità, lieve senso del nulla, altro dettato del provvisorio in cui proprio il potere (sic) è limitabile, anzi leggermente confessato, semmai attraversa una tenue lascivia dell'occhio che riscrive il suo sguardo ed ha come "potere" la seduzione non certa. La vacuità individuale non smentisce i propri richiami al favoloso, e non sfida che silenzi per enuclearsi, anche quando s'azzuffa e rivela inquiete capacità di riesistere in proprio, qualunque sia il dialogo di cui la medesima scrittura è prigioniera e riaffiora molesta soltanto per inseguire una malizia, una cerimoniosità inferma. Ci sono altre scritture, anch'esse senza sorriso e più o meno scomode per qualcuno, che indubbiamente non possono accedere al potere! Si affidano alla fortuna, al rituale societario. I suoi spazi sono infiniti, ma il legame burocratico a cui la scrittura si adatta è inefficace al potere dello spirito, a quello dell'intelligenza che non sopporta il buio o la ripetizione canonica e algida. Lo "stile" potrebbe fermare per molti di noi l'idea del successo, ma ormai manca l'osservatore che si interessa delle possibili raffinatezze e catastrofi sperimentali, delle sorprese a cui piace domandare effetti d'opera, il senso a cui si affida per illuminare la diversità, il passo di ognuno, la casa da cui si scorge il piccolo mondo d'un gioco deserto, dei suoi tunnel ciechi. Così la scrittura (che si cerca un linguaggio, e mostra la ferita, e difende il cielo e la terra sconcertata) è distante da ogni dominio, avrà potere sul versante sconveniente, non elettivo, dove cerca l'emotività sostanziale e non il racconto in cui più d'uno potrebbe dopotutto specchiarsi per acquisire momenti felici. La trasparenza, così come il suo enigma, insegna che dalla densità dell'aforisma alla massiccia fluenza dei romanzi rosa, l'altrove è soltanto troppo parlato; trovo che il potere di ogni scrivere abbia soltanto un riconoscimento che dura poco, questo trasmette piuttosto un'avventura come tante altre, da accettarsi per intima vanità. È in tale abisso che qua e là il potere emerge desueto e forse un tantino sottrattivo e ridicolo, e in una testualità molto dubbia, deludente, a dimensione pubblica fallimentare anziché straordinaria e trasfigurata.

 


 
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