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L'Area di Broca
Indice n.70
 

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"L'area di Broca", XXVI, 70, 1999

COLORI

 

Sauro Giornali

Il colore del cinema
 

1. Siamo abituati a pensare al cinema delle origini come a una buffa e balbettante rappresentazione del reale confinata nei freddi contrasti fra bianco e nero tipici della pellicola ortocromatica, che accompagnò il cinema da quando muoveva i primi passi fino alla fine degli anni '20 (caratterizzando anche tutta la grande stagione del cinema espressionista).
   Scrivere una dettagliata storia del cinema muto appare oggi un'impresa impossibile a causa dell'enorme quantità di testimonianze perdute. Nonostante ciò, già dagli anni '80, soprattutto in Francia e in Italia, si conducono importanti studi sul cinema nei primi 20 anni della sua storia che hanno portato a sorprendenti risultati.
   Una delle notizie più suggestive che si possono dare sul cinema delle origini è quella legata al colore.
   Il cinema nasce come una forma spettacolare di massa, come spettacolo da baraccone, poco distante dalla cultura circense. Come tale il neonato cinema doveva essere reso appetibile per il grande pubblico, sia dal punto di vista narrativo (cercando di rappresentare storie sempre più articolate e avvincenti), sia dal punto di vista dello sviluppo di un linguaggio peculiare del mezzo espressivo, soprattutto nel campo della regia e del montaggio, sia dal punto di vista della sostanza stessa dello spettacolo cinematografico, cioè la luce e il colore. Si scopre dunque che i primi film muti non erano sempre e solo in b/n, ma che spesso erano a colori.
   Esistono vari metodi per la colorazione della pellicola in b/n basati su certe reazioni chimiche abbastanza semplici da ottenere come il viraggio e l'imbilizione1; ma non era escluso il lavoro di pitturare a mano i fotogrammi, uno per uno. Sistemi che da un lato rendono più interessante e varia la proiezione, ma che dall'altro peccano ancora in precisione (dato che i colori spesso debordavano, magari dai fondali o dagli abiti e finivano sui volti dei personaggi) e che comunque richiedono un paziente e lungo lavoro artigianale, o grossolano e difficile da gestire (come nel caso del viraggio). Ma il problema più rilevante di questi metodi fu la durata nel tempo dei risultati ottenuti, infatti oggi i colori dei fotogrammi non sono più visibili, affievoliti o deteriorati dal passaggio del tempo.

2. Occorre aspettare più di 30 anni per poter arrivare a risultati più economici ed efficaci, con l'introduzione della pellicola a colori.
   Il cinema ha ormai raggiunto la realtà. La vecchia pellicola ortocromatica era stata sostituita dalla più sensibile pancromatica e la registrazione del suono non è più un problema. Movimento, colore, suono formano un flusso inscindibile di immagini che riproducono in tutto (o quasi) la dimensione del reale.
   Ma questo risultato non rappresenta un traguardo, è solo l'inizio di una lunga riflessione teorica ed artistica che non si è mai esaurita e che, semmai, si è sempre più arricchita, vedendo aumentare il numero delle variabili in gioco. Il regista trova nel colore un elemento in più per la produzione di senso, uno strumento diegetico, che va ad aggiungersi alla già nutrita serie degli accorgimenti registici, che si erano venuti moltiplicando negli anni '30, e di montaggio.
   Il bianco e il nero aveva favorito lo sviluppo di un linguaggio basato sulla costruzione e sulla plasticità dell'immagine, sul movimento della macchina da presa e sull'uso accorto della luce e delle arti fotografiche, ma si garantiva solo in parte l'aspetto sensibile dell'immagine, quello che può essere captato in modo diretto dallo spettatore, potendo soltanto proporre l'opposizione del chiaro e dello scuro.
   Certi colori possono rappresentare e trasmettere significati, atmosfere, stati d'animo che nel film possono anche non venire mai menzionati. Esaltare un determinato colore può integrare un certa situazione drammatica aumentando nello spettatore la percezione di sensazioni come il dolore, la paura, la gioia, la serenità, oppure si può sottolineare attraverso il colore un'opinione dell'autore riguardo alla scena mostrata: freddezza, distacco, amore, calma, isterismo. I colori rappresentano il materiale di base di una sensazione che deve essere trasmessa attraverso la visione: il blu e il bianco sono colori freddi che possono annunciare sgomento, solitudine, morte; il rosso e l'ocra possono significare calore, contatto, sensualità, familiarità, un ambiente protetto, intimo.

3. Sergej M. Ejzenstejn, uno dei più importanti autori e teorici cinematografici di tutti i tempi, morì il 9 febbraio 1948. Fra le sue carte fu trovato un saggio sul cinema a colori, incompiuto.
   Principale elemento della sua riflessione pratica e teorica fu il montaggio. Semplificando al massimo il lungo e complesso discorso ejzenstejniano si può dire che il montaggio rappresenta per l'autore sovietico il processo attraverso il quale le immagini acquistano senso mediante il loro accostamento: immagini che possono anche essere completamente estranee ed indipendenti fra loro generano un senso unitario per mezzo della ricostruzione mentale della scena che lo spettatore fa seguendo le linee suggerite dal montaggio dei pezzi di pellicola. Un'immagine ha un valore in quanto tale ma se assemblata, elaborata insieme ad altri elementi come la musica, la luce, le altre immagini, genera il senso nuovo, quello che il regista vuole dare alla sequenza del film.
   Le stesse conclusioni possono essere applicate al colore, come dimostra Ejzenstejn nel suo ultimo, contestatissimo film La congiura dei boiardi del 1946, la seconda parte di un progetto più ampio che narrava la storia di Ivan Groznyj, primo zar di tutte le russie, detto Ivan il terribile (la prima parte di questo progetto si chiama, in italiano, Ivan il terribile, 1944). È un progetto che ha per tema il potere: la storia di un principe che si sente chiamato a una grande missione: unire e proteggere il popolo russo contro tutti i nemici, esterni ed interni, ad ogni costo.
   Nella scena principale de La congiura dei boiardi si assiste a un ballo nel palazzo dello zar, dopo un grande banchetto. È l'unica sequenza del film a colori, girata su pellicola trafugata ai tedeschi durante la guerra. Durante il ballo Ivan convince il cugino Vladimir, che i boiardi vorrebbero mettere sul trono, a vestire gli abiti imperiali e a guidare i commensali in una sorta di processione per il palazzo, ben sapendo che nell'ombra un sicario dei boiardi attende lo zar. Vladimir accetta divertito e confuso, ma appena esce dalla sala viene pugnalato a morte: la congiura è sventata.
   La scena del ballo è un'orgia di colori: le ricche vesti dei commensali si confondono in salti, canti, urla e fischi. L'uomo che guida i canti e le danze porta una maschera, simbolo di doppiezza, d'inganno. Sopra la testa di Ivan domina la volta del palazzo, affrescata. Rosso, verde, giallo e nero sono i colori che invadono la sequenza. Ogni colore porta con sé un significato preciso: l'invidia (il verde) porta alla brama di potere, dell'oro (giallo) e di conseguenza allo spargimento di sangue (rosso) e alla morte (nero).
   I colori non si limitano a riempire, ma escono dai contorni, si confondono, come gli uomini si confondono nella danza: il colore ha un suo significato preciso ma viene usato per costruire altri significati, mostrandoci dei volti letteralmente verdi d'invidia, dando vita a una corporeità, a una fisicità del colore, che diventa materiale per la composizione attiva della scena (non limitandosi a riempire certi contorni) al pari degli attori, dei suoni, della luce, del movimento, dell'inquadratura.
   Sono i primi passi che il cinema a colori muove, ma nelle mani del maestro russo il colore ha già raggiunto una dimensione di rara efficacia ed espressività.

4. Il cinema a colori diede nuova vita al gusto pittorico dei registi. Da sempre il cinema si è ispirato alla pittura, sia come fonte iconografica per la ricostruzione di costumi e ambienti, sia per la costruzione plastica dell'inquadratura, per arrivare, con il cinema espressionista tedesco, ad una vera e propria contaminazione fra cinema e pittura, quando erano gli stessi pittori a realizzare le scenografie dei film.
   Con il colore diventa possibile riprodurre nell'inquadratura non solo la disposizione di personaggi e oggetti del quadro, ma anche la luce e i suoi contrasti e sfumature cromatiche. Pier Paolo Pasolini ricostruisce sulla scena interi quadri, ispirandosi a immagini di grandi maestri come Rosso Fiorentino, Pontormo, Giotto, Mantegna. Anche Luchino Visconti si rivelò particolarmente sensibile a questo aspetto del cinema, ed in Senso (1954) ricrea quadri di Fattori e Signorini, e dà vita allo splendido quadro di Francesco Hayez Il bacio in una analoga scena del film.
   Il colore e la luce diventano gli elementi fondamentali di uno dei più bei film di Stanley Kubrick Barry Lyndon, che si rifà alla pittura del Settecento inglese. Kubrick, come Visconti, riesce in questo film a dare al colore una forma e una materia. È il caso del rosso della giacca dell'esercito inglese che indossa Redmond Barry, che emerge dall'oscurità di una stanza in cui il protagonista cena a lume di candela, o ancora quando Redmond si batte con un commilitone in un quadrato di soldati che delimitano il campo della sfida: la divisa rossa del protagonista acquista un volume attraverso i giochi di ombre e luci della candela, mentre, nel secondo caso citato, le divise dei soldati schierati in quadrato sul campo verde danno al colore rosso una fisicità talmente tangibile che arriva a respingere gli sfidanti ogni volta che ci cadono sopra.
   Ma l'autore di Barry Lyndom già dal 1968, con 2001: odissea nello spazio aveva portato al massimo grado la fisicità del colore nella scena in cui l'astronauta parte per il suo solitario viaggio nel tempo, nello spazio e nella conoscenza attraversando letteralmente una sorta di muro di energia, energia che prende forma e densità nei colori giallo, rosso, nero e viola: i colori assumono una consistenza e una valenza propria, come insegnava Ejzenstejn ne La congiura dei boiardi.

5. Sono dedicati ai colori della bandiera francese i film della trilogia Tre colori del cineasta polacco Krzysztof Kieslowski, intitolati Film blu, Film bianco, Film rosso, usciti fra il 1993 e il 1994. Ogni film tratta di un argomento differente e ognuno ha una sua luce, un colore dominante (quello indicato nel titolo) che metaforizza gli eventi mostrati. Così c'è il blu della solitudine nella quale si trova di colpo una donna, dopo un terribile incidente stradale che ha distrutto la sua famiglia, blu che invade lo schermo nelle scene in cui la protagonista nuota solitaria in una piscina o quando dei veri e propri lampi scandiscono il ricordo della musica del marito compositore. C'è il bianco dell'assenza: assenza d'amore, di sesso, di denaro; il bianco del paesaggio innevato della fredda Polonia del dopo muro, in crisi di valori, dove ormai si può comprare tutto. E infine c'è il rosso di un sottile cavo telefonico, un filo che unisce i destini degli uomini, li fa incontrare e li fa perdere senza che nessuno possa capire perché e dove stia, se c'è, la ragione.
   Ecco dunque che il colore non si limita più a caratterizzare un volto, un oggetto o una particolre situazione all'interno di una inquadratura o di una sequenza, ma attraversa un intero film, ne diventa il collante sia a livello visivo che diegetico, e oltre, combinandosi con gli altri colori della trilogia, formando una serie organizzata.
   E' cresciuta l'importanza del colore: da materiale compositivo per la costruzione e la narrazione di una trama fatta di diversi eventi è diventato il vero punto di partenza per la scrittura di un film: è sull'essenza di un colore che si innestano parole, azioni e caratteri dei personaggi.

6. Nei film del cinese Zhang Ymou il colore ricopre una funzione particolare. In film come Lanterne rosse, La storia di Qiu Ju, Vivere, Ju du i personaggi si muovono in ambienti delimitati, precisi: la casa e i cortili di una ricca abitazione cinese, le campagne e i villaggi dell'era comunista, la residenza-laboratorio di un ricco tintore di stoffe. Tutti questi ambienti sono caratterizzati da colori spenti come il grigio o il nero, mentre le campagne cinesi sono spesso rappresentate come luoghi freddi e brulli. È in questi scenari abbastanza desolanti che fanno la loro comparsa colori sgargianti, vivi, come il rosso, l'arancione, il blu: sono i colori degli abiti di seta, dei vestiti della festa, delle lanterne di carta, delle stoffe messe ad asciugare, dei peperoncini legati e appesi a seccare: sono i colori della tradizione millenaria cinese, che continuano a rimanere punti fermi nella cultura di un popolo, si tratta spesso infatti dei colori di oggetti che non si muovono (e che vengono inquadrati con inquadrature fisse della cinepresa), intorno ai quali si muovono la storia e i personaggi.
   Nel lavoro di un altro regista orientale, il vietnamita Tran Anh Hung, autore dei film Cyclo e Il profumo della papaia verde, i colori rappresentano due aspetti della società in cui si muovono i suoi personaggi: la calda, calma e rigogliosa natura tropicale, ricca di frutti e forme da un lato, e il nuovo che avanza dall'altro, che si riconosce nei neon dei grandi palazzi, nella vernice che i personaggi si spandono addosso, nella pubblicità, nelle luci delle discoteche.
   Particolare attenzione al colore la si nota anche nei film di importanti registi spagnoli, che deriva, anche nel caso di un Almodóvar o di un Bigas Luna, da una antica tradizione culturale, ma, a differenza di Ymou, gli spagnoli propongono un tipo di colore ben più dinamico: i personaggi si vestono di colori accesi e si muovono in ambienti molto colorati, e così capita che si creino tensioni cromatiche, che generano forze contrastanti all'interno delle inquadrature, e la scena si carica di un'instabilità esplosiva, come sono spesso psicologicamente instabili i personaggi di film come Donne sull'orlo di una crisi di nervi, Légami, Carne tremula, Matador (tutti di Almodóvar), in cui la ricchezza di colore costituisce un importante elemento sia decorativo che narrativo.

7. La conquista del colore nel cinema è l'ultimo importantissimo passo della settima arte verso la realtà: movimento, colore, forma e suono sono gli elementi su cui si basa lo spettacolo cinematografico e sono anche quelli che caratterizzano la dimensione del reale. Ma invece di rendere il cinema sempre più verosimile, la possibilità di fare film a colori finisce irrimediabilmente per allon- tanarlo dal reale, poiché il colore del cinema non è mai uguale a quello della natura, e quando si crea una luce simile a quella della realtà si mette l'accento sulla snaturalizzazione del colore cinematografico, iniziando in questo modo un discorso sul mezzo espressivo che porta ancora più lontano dal mondo in cui viviamo ogni giorno.
   La macchina da presa di David Lynch attraversa spesso spazi oscuri, come corridoi senza luce o strade e viali privi di lampioni. Sono cose che nella realtà accadono ogni giorno, ma che riportate sullo schermo, come in Velluto blu o Strade perdute, generano nello spettatore un senso di soffocamento, tensione, panico.
   Invece nei film di Peter Greenaway, tipo Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante, I racconti del cuscino, L'ultima tempesta, The baby of Macon, si mettono in scena ambienti, personaggi, eventi e colori sovraccarichi, costruiti, barocchi, spudoratamente falsi; ma è proprio in questi film, in cui è così facilmente riconoscibile la finzione, l'invenzione, la messa in scena, si annida un'immediatezza cruda e crudele, una verità, da creare un fastidio fisico nello spettatore. I colori più artificiali diventano dunque i mezzi più efficaci per un creare effetto reale su chi guarda il film, mostrando ciò che sullo schermo forse nemmeno dovrebbe esistere: l'insopportabile e l'inguardabile.

1. Il viraggio consiste nell'immergere la pellicola in un preparato che la fa virare verso un particolare colore (come il blu, l'ocra, il rosso); l'imbilizione consiste invece nello spalmare la pellicola in una sostanza che può produrre diversi colori all'interno dello stesso fotogramma.

 


 
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