Indice Uroboro
 
Indice
Uroboro
 

Mediateca Italiana
 
Bacheca

 

Torquato Tasso

97 madrigali

Biblioteca Classica Uroboro

a cura di Paolo Pettinari
Edizioni Mediateca - 2003

 

Fonti

  • Torquato Tasso, Poesie, a cura di F. Flora, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952.
  • Torquato Tasso, Rime, a cura di A. Solerti, 4 volumi, Bologna, 1898-1902.
  • Torquato Tasso, Rime per Lucrezia Bendidio, a cura di L. De Vendittis, Torino, Einaudi, 1965.
     

L'autore

Torquato Tasso (Sorrento, NA, 1544 - Roma 1595), uno dei maggiori poeti lirici italiani, è autore, fra le altre cose, della Gerusalemme liberata e dell'Aminta. La biografia più completa è a tutt'oggi A.Solerti, Vita di Torquato Tasso, 3 voll., Torino-Roma, 1895.
 

Il testo

«Più ancora del sonetto» osserva Hugo Friedrich «il madrigale è quell'espressione poetica per mezzo della quale il Tasso condusse la lirica italiana in un nuovo giardino incantato». Caratterizzate da una grande libertà metrica, sia nell'alternanza di endecasillabi e settenari, sia nel gioco mutevole delle rime, queste brevi composizioni si possono considerare come un paradigma della poesia manierista. La struttura trecentesca in quartine o terzine, da decenni ormai in disuso, è definitivamente dissolta in una struttura che è anzitutto musicale e poi semantica, dove la forma del contenuto passa spesso in secondo piano rispetto al fluire delle immagini acustiche, ed è comunque sempre omogenea ad esse.
   Non è questo il luogo per approfondire l'analisi della lirica di Tasso: basti esaminare brevemente un testo a caso, ad esempio l'ultimo madrigale della nostra selezione (Voi la bocca rosata...). Il primo verso sta a sé, in quanto è l'unico che non rima con nessun altro, ma nello stesso tempo è collegato al secondo dal chiasmo "bocca rosata - rosate guance". Questa immagine speculare all'inizio del testo viene riconfermata immediatamente dalla struttura metrica del madrigale ai versi 2-9: per due volte abbiamo infatti la successione "endecasillabo settenario - settenario endecasillabo", la prima volta a formare una quartina a rime baciate, la seconda una quartina a rime incrociate che rafforza ancor più questo gioco di specchi. E seguendo le sottili variazioni musicali del testo quasi sfugge il fatto che anche a livello del contenuto tutto si basa su un'immagine speculare: il bianco corporeo della donna che rispecchia il bianco spirituale della sua fede. Vista la concettosità e la convenzionalità del contenuto immediato, è certo una fortuna che la musica dei versi riesca in qualche modo a nasconderlo e a dargli altre chiavi di lettura. Un esempio, questo, di come l'elemento ludico combinatorio sia estremamente importante nella realizzazione di un testo poetico.
   Ma certamente il valore dei madrigali di T.Tasso non si esaurisce nella loro perfezione tecnica. Molti di essi, da considerarsi dei capolavori assoluti, introducono temi e motivi che rivelano nuovi atteggiamenti culturali e un vero e proprio mutamento di episteme. La natura che diviene protagonista (Tacciono i boschi e i fiumi...), la particolare sensibilità notturna (Al lume de le stelle...), l'uso di un espediente retorico come la "domanda lirica" (Qual rugiada o qual pianto...?), sono tutti segni di una misteriosa trasformazione che sta avvenendo nell'atteggiamento culturale degli uomini, ma di cui non si riesce a intravedere l'esito. E forse giocare con le frasi e le parole è anche un modo per razionalizzare ed esorcizzare questo mistero.

Chi voglia approfondire la conoscenza della lirica di T.Tasso può cominciare dalla lettura di H.Friedrich, Epochen der Italienischen Lyrik, Frankfurt am Main, Klostermann, 1964 (tr.it. Epoche della lirica italiana, Milano, Mursia, 1975, 3 voll. - il secondo volume è quello dedicato al Cinquecento): a tutt'oggi per chiarezza e razionalità di esposizione è la migliore introduzione all'argomento. Per alcuni problemi più specificamente filologici si può cominciare con L.Caretti, Studi sulle rime del Tasso, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1950. [PP]

 

*****

 

***

Ecco mormorar l'onde
e tremolar le fronde
a l'aura mattutina e gli arboscelli,
e sovra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l'orïente:
ecco già l'alba appare
e si specchia nel mare,
e rasserena il cielo
e le campagne imperla il dolce gelo,
e gli alti monti indora.
O bella e vaga Aurora,
l'aura è tua messaggera, e tu de l'aura
ch'ogni arso cor ristaura.
 

***

Se taccio, il duol s'avanza;
se parlo, accresco l'ira,
donna bella e crudel, che mi martira.
Ma prendo alfin speranza
che l'umiltà vi pieghi,
ché nel silenzio ancor son voci e preghi.
E prego Amor che spieghi
nel mio doglioso aspetto
con lettre di pietà l'occulto affetto.
 

***

Mentre in grembo a la madre Amore un giorno
dolcemente dormiva,
una zanzara zufolava intorno
per quella dolce riva;
disse allor, desto a quel sussurro, Amore:
«Da sì picciola forma
com'esce sì gran voce e tal rumore
che sveglia ogun che dorma?»
Con maniere vezzose
lusingandogli il sonno col suo canto
Venere gli rispose:
«E tu picciolo sei,
ma pur gli uomini in terra col tuo pianto
e 'n ciel desti gli dèi».
 

***

Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l'erba fresca in grembo?
Perché ne l'aria bruna
s'udìan, quasi dolendo, intorno intorno
gir l'aure insino al giorno?
Fûr segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?
 

***

Soavissimo canto
oh pur t'oda una volta
e poi mi stilli in lagrimoso pianto!
Felice chi t'ascolta,
felice chi risguarda
la rosa, onde tu spiri, ancor non còlta!
Felice sì, ma tarda
fôra la sorte mia
fra quel sì dolce odore e l'armonia.
 

***

Baci, sussurri e vezzi,
sospir tronchi e parole
raddoppia a cento a cento, o bella Iole,
raddoppia a mille a mille:
sian più de le faville,
più de' lumi che gira
il ciel quand'ei d'Amore i furti mira.
 

***

Tacciono i boschi e i fiumi
e 'l mar senza onda giace;
ne le spelonche i venti han tregua e pace,
e ne la notte bruna
alto silenzio fa la bianca luna;
e noi tegnamo ascose
le dolcezze amorose:
Amor non parli o spiri,
sien muti i baci e muti i miei sospiri.
 

***

Non sono in queste rive
fiori così vermigli
come le labbra de la donna mia,
né 'l suon de l'aure estive
tra fonti e rose e gigli
fa del suo canto più dolce armonia.
Canto che m'ardi e piaci,
t'interrompano solo i nostri baci!
 

***

Porti la notte il sole
e la candida luna il giorno apporte,
e 'l nascer lutto, e gran piacer la morte:
porti la state il gelo
e dolci frutti il verno,
e il ciel diventi a noi l'orrido inferno,
anzi l'inferno il cielo:
rompa sue leggi la natura e 'l fato
poi che le rompe Amore,
e premio è crudeltà d'un fedel core
e pietà d'uno ingrato.
 

***

Non è questo un morire,
immortal Margherita,
ma un passar anzi tempo a l'altra vita:
né de l'ignota via
duol ti scolori o tema,
ma sol pietà per la partenza estrema.
Di noi pensosa e pia,
di te lieta e sicura,
t'accommiati dal mondo, anima pura.
 

***

Ore, fermate il volo
nel lucido oriente,
mentre se 'n vola il ciel rapidamente:
e carolando intorno
a l'alba mattutina
ch'esce da la marina,
l'umana vita ritardate e 'l giorno.
E voi, Aure veloci,
portate i miei sospiri
là dove Laura spiri:
e riportate a me sue chiare voci,
sì ch'io l'ascolti io solo,
sol voi presenti e 'l signor nostro Amore,
Aure soavi ed Ore.
 

***

Io non posso gioire
lunge da voi, che siete il mio desire;
ma 'l mio pensier fallace
passa monti e campagne e mari e fiumi;
e m'avvicina e sface
al dolce foco de' be' vostri lumi;
e 'l languir sì mi piace
ch'infinito diletto ho nel martire.
 

***

Già non son io contento
lunge da voi, che siete il mio tormento,
in così dolce modo
m'arde il pensier; ma s'egli a voi mi giunge
io vi rimiro ed odo
allora più vicin che son più lunge,
ed amo ed ardo e godo
più del mio foco se maggior il sento.
 

***

Come vivrò ne le mie pene, Amore,
sì lunge dal mio core,
se la dolce memoria non m'aita
di lei ch'è la mia vita?
Dolce memoria e spene,
imaginata vista e caro obietto,
voi siete il mio diletto
la mia vita e 'l mio bene;
ma pur mezzo son io tra morto e vivo,
poi che del cor son privo.
 

***

Se 'l mio core è con voi, come desia,
dov'è l'anima mia?
Credo sia col pensiero: e 'l pensier vago
è con la bella imago;
e l'imagine bella
de la vostra bellezza è ne la mente
viva e vera e presente
e vi spira e favella:
ma pur senza il mio core è la mia vita
dolente e sbigottita.
 

***

Non è questa la mano
che tante e sì mortali
avventò nel mio cor fiammelle e strali?
Ecco che pur si trova
fra le mie man ristretta
né forza od arte per fuggir le giova,
né tien face o saetta
che da me la difenda.
Giusto è ben ch'io ne prenda,
Amor, qualche vendetta,
e se piaghe mi diè baci le renda.
 

***

Amor l'alma m'allaccia
di dolci aspre catene:
non mi doglio io per ciò, ma ben l'accuso
che mi leghi ed affrene
la lingua a ciò ch'io taccia
anzi a madonna timido e confuso
e 'n mia ragion deluso.
Sciogli, pietoso Amore,
la lingua, e se non vuoi
che mi stringa un sol men de' lacci tuoi
tanti n'aggiungi in quella vece al core.
 

***

Lunge da voi, ben mio,
non ho vita né core e non son io.
Non sono, oimè!, non sono
quel ch'altra volta fui, ma un'ombra mesta,
un lagrimevol suono,
una voce dolente; e ciò mi resta
solo per vostro dono:
ma resta il male onde morir desio.
 

***

Lunge da voi, mio core,
mille volte m'uccide il mio dolore.
Perché la mia partita
mi tolse l'alma; e s'io ripenso in lei
mi ritoglie la vita,
e tutti sono morti i pensier miei.
Oh miseria infinita!
E' quel felice ch'una volta more.
 

***

Poiché madonna sdegna,
fuor d'ogni suo costume,
volger in me de' suoi begli occhi il sole,
qualch'arte, Amor, m'insegna,
ond'io del vago lume
alcun bel raggio ascosamente invole:
né giusto fia che teco ella se 'n doglia;
ché, se furommi il core,
fia 'l mio furto minore
quando in dolce vendetta un guardo i' toglia.
 

***

Mentre nubi di sdegno
fra' vostri occhi e 'l mio core
fûro interposte, egli soffrì l'ardore.
Or che chiaro si gira
il sol di quei bei lumi
forz'è che si consumi
l'anima esposta a sì gran foco ignuda.
Poiché dunque può l'ira
temprar sì ardente face
più che pietà non face,
siatemi, prego, per pietà più cruda.
 

***

Disdegno e gelosia,
vostri custodi, donna, e miei nemici,
fan gli occhi miei famelici e mendici.
Ed insieme col raggio
de' bei vostr'occhi i bei cortesi detti
pien di spirti e d'affetti
mi toglie de' duo dardi il doppio oltraggio:
ond'io, lasso, d'intorno
a le guardate mura
erro la notte solitario e il giorno,
qual cacciator ch'insidi
d'errante fera i boscherecci nidi.
Ma non vuol mia ventura
ch'involi senza pena; onde divegno
preda di predator, d'arciero il segno.
 

***

Donna, quanto più a dentro
conobbi il vostro core,
tanto a darvi credenza io son più tardo,
né stimo quel di fòre:
io dico un vago inchino, un dolce sguardo,
un dir: «Nel foco io ardo»,
un scolorir di viso,
un dolente sospiro, un lieto riso.
 

***

A chi creder degg'io
se vani sono i detti
e 'l vento se ne porta le parole?
Non a le voci sole
che scompagnate sian da veri effetti,
Amor, crederò mai;
ma tanto or temo, quanto già sperai.
Amor, se vuoi ch'io creda,
convien che 'l core altrui ne' fatti veda.
 

***

Donna, sete ben degna
che di mugghiar per voi con bianco pelo
non sdegni fra gli armenti il re del cielo;
e sete degna ancora
che la sua bella sposa
sia per voi sì gelosa,
come per lei che 'l grand'Egitto adora.
Così potessi anch'io
in voi tant'occhi aprire
quanti Argo aperse in Io,
per appagar, mirando, il mio desire;
però che i miei due soli
non veggon tutti i rai de' vostri soli.
 

***

Non fonte o fiume od aura
odo in più dolce suon di quel di Laura;
né 'n lauro o 'n pino o 'n mirto
mormorar s'udì mai più dolce spirto.
O felice a cui spira,
e quel beato che per lei sospira!
ché se gl'inspira il core,
puote al ciel aspirar col suo valore.
 

***

Messaggera de l'alba
è quest'aura terrena
e torbida talor, talor serena:
Laura mia par celeste,
così bella io la veggio
dopo l'aurora in fresco e verde seggio:
di fior l'una riveste
il dilettoso aprile,
l'altra fiorir fa l'amoroso stile.
 

***

Tu furi i dolci odori
a' ligustri ed a' gigli,
o mobil aura, ed a' bei fior vermigli;
ma li comparte l'auro
di Laura mia gradita:
tu segui il sol, da Febo ella è seguita.
Ah! non la volga in lauro
del ciel pietate o sdegno,
ché di sì bella pianta è 'l bosco indegno.
 

*** Ogni pianta gentile
al novello apparir del chiaro sole
farsi più vaga suole,
ogni fronda allegrarsi, e 'n ogni ramo
sovra i lucidi rivi
cantano in dolci modi: «Io amo, io amo»
gli augelletti lascivi;
e le meste sorelle
spargon lagrime al sole ancor più belle.
Ma solo il sol più lieto
par de la vista del mio bel Laureto.
 

***

La giovinetta scorza
ch'involge il tronco e i rami
d'un verde lauro, Amor vuol ch'io sempre ami:
e le tenere fronde
fra cui vaghi concenti
fan gli augelletti al mormorar de' venti,
e l'ombra fresca e lieta
che da le foglie acerbe
cade co' dolci sonni in grembo a l'erbe.
Quivi le rete asconde,
né 'n parte più secreta,
stanco di saettare, Amor s'acqueta.
 

***

Sovra le verdi chiome
di questo novo lauro, udite come
de' canori augelletti
altri scherzando van di ramo in ramo
cantando «Io t'amo, io t'amo»;
ed ei par gli risponda
col dolce mormorio
de la tremante fronda
«Sì, sì, che v'amo anch'io»;
ed altri vezzosetti
cantano «Quivi, quivi»,
quasi vogliano dire: «I questi rivi
o intorno a queste linfe
ti vagheggian le ninfe».
 

***

Felice primavera
di bei pensier fiorisce nel mio core
novo lauro d'amore
a cui ride la terra e il ciel d'intorno,
e di bel manto adorno
di giacinti e viole il Po si veste:
danzan le ninfe oneste e i pastorelli
e i sussurranti augelli in fra le fronde
al mormorar de l'onde: e vaghi fiori
donan le Grazie a i pargoletti Amori.
 

***

Giamai più dolce raggio
non spiega il sole in un fiorito maggio
di quel che le tue rose e i tuoi ligustri
fa sì chiari ed illustri:
né caggiono giamai la state e 'l verno,
tal ch'hai l'aprile eterno:
perpetua primavera hai nel bel viso
e 'l sole è il dolce riso.
 

***

Al lume de le stelle
Tirsi sotto un alloro
si dolea lagrimando in questi accenti:
«O celesti facelle,
di lei ch'amo ed adoro
rassomigliate voi gli occhi lucenti:
luci serene e liete,
sento la fiamma lor mentre splendete».
 

***

Io vidi già sotto l'ardente sole
discoloriti i fiori
come la mia Licori:
come i gigli del volto e le viole
che d'irrigar desio
con lagrimoso rio,
e seco insieme impallidir anch'io,
seco mutar sembiante,
aventuroso amante.
 

***

Vita de la mia vita,
tu mi somigli pallidetta oliva
o rosa scolorita;
né di beltà sei priva,
ma in ogni aspetto tu mi sei gradita,
o lusinghiera o schiva;
e se mi segui o fuggi
soavemente mi consumi e struggi.
 

***

Donna, il bel vetro tondo
che ti mostra le perle e gli ostri e gli ori
in cui tu di te stessa t'innamori,
è l'effigie del mondo,
che quanto in lui riluce
raggio ed imago è sol de la tua luce.
Or chi de l'universo
può i pregi annoverar sì vari e tanti,
quegli audace si vanti
di stringer le tue lodi in prosa e 'n verso.
 

***

Desio se desiai,
ardo se arsi: e nel medesmo core
sento gran fiamma e pur non sento amore;
ch'amore è morto, e preso il mio disdegno
ha la corona e 'l regno;
e ne l'istesso loco
il fabro e la fucina
e gli strali ch'affina:
e tutte l'arme son di vivo foco.
 

***

Donna, chi vi colora
come vermiglia e mattutina aurora?
forse è piacer che 'l volto
così v'orna e dipinge,
star non potendo dentro 'l core accolto?
o vergogna che tinge
il candor de la fede
che per difetto rosseggiar si vede?
Ma qualunque tu sia,
color soave de la donna mia,
per te la colpa ancor bella saria.
 

***

Come sia Proteo o mago
il bello si trasforma e cangia imago:
or si fa bianco, or nero
in duo begli occhi, or mansueto or fero;
ora in vaghi zaffiri
fa con Amor soavi e lieti giri,
or s'imperla or s'inostra,
or ne le rose ed or ne le viole
d'un bel viso ei si mostra,
ora stella somiglia, or luna, or sole:
talor per gran ventura
egli par il Silenzio a notte oscura.
 

***

E' la bellezza un raggio
di chiarissima luce
che non si può ridir quanto riluce
né pur quel ch'ella sia.
Chi dipinger desia
il bel con sue parole e i suoi colori,
se può dipinga il sol e no 'l contempre
sì ch'ei n'abbagli e stempre,
né sian l'ombre il suo velo
ma vive carte e l'oriente il cielo.
 

***

O via più bianca e fredda
di lei che spesso fa parer men belle
col suo splendor le stelle;
turba il suo puro argento
o nube o pioggia o vento,
nulla il tuo bel candore e i vaghi giri.
E s'in me lieta miri,
sia la mia vita un sogno ed io contento.
 

***

Quella candida mano
che le parole scrisse,
l'aventò poi volando e mi trafisse:
ed io medesmo accolsi
le dolci parolette,
anzi pur le saette
temprate nel dolcissimo veleno,
e ponendo le fiamme e 'l foco in seno
d'arder mi piacque e nel piacer mi dolsi.
 

***

Già tu volasti quattro volte e sei
in quel petto sì molle,
vaga farfalla: or morta al lume sei.
Non bramo io luce, né son tanto folle,
ma la morte vorrei
dove fortuna darla a te non volle.
O dolce chiuder gli occhi,
s'avverrà che spirare in lui mi tocchi!
 

***

Quanto voi sete bella
tanto son io geloso,
tal che, donna, sperar di voi non oso.
E per fuggir dal mio crudel martire
e da la pena ria
fuggo la vita mia,
ma non lascio però la gelosia.
Qual rimedio è 'l partire
se non basta il morire?
 

***

Se acuti e duri strali
fossero queste spine,
e tutte queste fronde e questi fiori
paresser vive fiamme e vivi ardori,
il frondoso confine
tenteria di passar la destra ardita,
senza temer di foco o di ferita,
sol per toccarti, or che non vede alcuno,
tra sì bel verde e bruno.
 

***

Siepe, che gli orti vaghi
e me da me dividi,
sì bella rosa in te giamai non vidi
com'è la donna mia
bella, amorosa e pia:
e mentr'io stendo sovra te la mano
la mi stringe pian piano.
 

***

Ne i vostri dolci baci
de l'api è il dolce mele
e v'è l'ago de l'api aspro crudele:
dunque addolcito e punto
da voi parto in un punto.
 

***

Né dolce umor che nobil canna asconde,
né soavi licori
trasser l'api giamai da' vaghi fiori,
né rugiada celeste
piove in tenere fronde,
com'io furai da queste
vermiglie e vaghe rose.
Datemi un bacio ancor, labra amorose!
Ma volete ch'io torni a' furti miei?
Io tornerò, ch'in voi morir vorrei
per furto o per rapina,
se 'l ciel sì nobil morte mi destina.
 

***

Soavissimo bacio,
del mio lungo servir con tanta fede
dolcissima mercede!
Felicissimo ardire
de la man che vi tocca
tutta tremante il delicato seno,
mentre di bocca in bocca
l'anima per dolcezza allor vien meno!
 

***

«O verdi selve, o dolci fonti, o rivi,
o luoghi ermi e selvaggi,
pini, abeti, ginepri, allori e faggi:
o vaghi augelli semplici e lascivi,
eco, e tu che rispondi al mio lamento,
chi può dar fine a sì crudel fortuna?»
Una: «Dunque sol una,
e fa così lacrimevol concento?»
Cento: «Non son già cento e pur son molte
in bella festa accolte:
come una potrà dunque il mal fornire?»
Ire: «Per ira mia né per dispetto
non avrà fine amor nel nostro petto».
 

***

Mentre angoscia e dolore
e spavento e timore
sono intorno al mio core afflitto e stanco,
vestitevi di bianco,
o miei negri pensieri:
del candor de la fede,
ch'ove s'uccide più forte rinasce,
siano le vostre fasce.
O miei fidi guerrieri,
su, su, veloci e pronti
prendete i passi ed ingombrate i monti.
 

***

Nave in mar, segno in torre
ch'in alto è fisso e si rivolge intorno
a' venti notte e giorno,
somiglia il mio pensiero,
e d'instabile augel costante arciero
e stella in cielo errante
par la costanza mia fatta incostante.
 

***

Quella candida mano
ch'a mezzo il verno i vaghi fiori accinse,
me con leggiadri nodi ancora strinse.
Deh! s'un medesmo fato
hanno i bei fiori ed io,
non bramo di morir se non legato,
ma 'n sì bel petto di morir desio.
 

***

Letto è questo d'Amore o pur di Flora
che di sua man l'infiora,
e scelse in queste ombrose verdi rive
fiori azzurri e vermigli,
viole perse e gialle e bianchi gigli
nutriti dolcemente a l'aure estive:
ma fu così dipinto
che 'l piacer del mirare il sonno ha vinto.
 

***

Non può l'angusto loco
tra pini abeti e faggi
celare i vostri puri e lieti raggi
e 'l dolce e vivo foco:
e chi nasconde il sole
perché non splenda fuor com'egli suole?
Occhi graditi e cari,
occhi sereni e chiari,
voi somigliar sovente
fate quest'umil villa un oriente.
 

***

Donna lunge da voi
vivo del mio dolore,
né manca il cibo con la vita al core;
perché da voi deriva,
e pare un fiume senza fondo o riva:
voi siete il fonte, e 'l rio
de la vostra bellezza è 'l pianto mio.
 

***

O dolci lagrimette,
che già la donna mia da' suoi begli occhi,
quasi nembo che fiocchi,
sparse in quest'odorato e bianco lino!
Misero peregrino,
questo sol meco io porto e solo io tegno,
caro mio sì, ma non felice pegno,
perché n'asciughi i lumi
e ne pianga lontano e mi consumi.
 

***

Come cristallo in monte
L'orgoglio in voi s'indura,
donna bella e crudele oltra misura.
In me l'amore affina
come or lucente in fiamma,
e se gela il cor vostro, il mio s'infiamma.
Né quella algente brina
struggo però, ma ne l'istesso loco
manterrà fede eterna al gelo il foco.
 

***

Gioco d'Amor son io
lieto e dolente come vuol la sorte,
e 'l campo è questa corte
che del mio duol si ride e del mio scorno.
E' paleo la mia vita
che rota intorno intorno
veloce più quant'ella è più ferita,
e fa con mille giri
ciascun meravigliar che la rimiri:
egli è 'l fanciul che scherza,
e 'l suo lungo disdegno è la sua sferza.
 

***

Donna, se dopo tanti e tanti torti
che voi m'avete fatti, a me chiedete
lagrimando perdono
con modi così dolci e così accorti,
da me perdono avrete,
se darlo un servo può, ché servo i' sono
e voi mia donna sete:
ma che poss'io se pur alcun v'incolpa?
torvi posso la pena e non la colpa.
 

***

Voi bramate, ben mio,
che m'uccida il dolore,
però crescete pena in questo core:
ma pur mentre mi doglio,
sento un piacer sì novo
del piacer che vi porge il mio cordoglio,
oh maraviglia!, e quasi avien ch'allora
per doglia no, ma per diletto io mora.
 

***

Cantava in riva al fiume
Tirsi d'Eleonora,
e rispondean le selve e l'onde «onora».
E parea mormorando
dir l'ôra «ora ch'appare,
l'aurora par che lieta esca dal mare:
or chi l'onora amando?»
E l'acque insieme e i rami
«or chi fia che l'onori e che non l'ami?»
 

***

In un fonte tranquillo
si specchiava Neera,
e Tirsi le dicea piangendo intanto:
«Mentr'io così mi stillo,
ninfa selvaggia e fera,
spero fontana divenir di pianto:
allora in me vedrete
quanto voi bella e quanto cruda sete».
 

***

Dolcemente dormiva la mia Clori,
e 'ntorno al suo bel volto
givan scherzando i pargoletti Amori.
Mirav'io, da me tolto,
con gran diletto lei,
quando dir mi sentii: «Stolto, che fai?
Tempo perduto non s'acquista mai».
Allor io mi chinai così pian piano,
e baciandole il viso
provai quanta dolcezza ha il paradiso.
 

***

A l'ombra de le piante
fur le prime parole
de' fidi amanti, e non li udiva il sole,
ma nel silenzio de l'amica luna
la notte oscura e bruna:
così fur testimoni a' nostri amori
in ciel le vaghe stelle e 'n terra i fiori.
Stelle, io giuro per voi, fiori, erbe e foglie,
che più son le mie voglie.
 

***

O vaga tortorella,
tu la tua compagnia
ed io piango colei che non fu mia.
Misera vedovella,
tu sovra il nudo ramo,
a piè del secco tronco io la richiamo:
ma l'aura solo e 'l vento
risponde mormorando al mio lamento.
 

***

Questa vita è la selva, il verde e l'ombra
son fallaci speranze, e son le reti
piacer dolci e secreti,
e sono ispidi dumi
crude voglie e costumi:
la fera è la mia donna, Amor l'arciero,
il veltro il mio pensiero.
Ella ratta se 'n va senza ritegno,
né fugge per timor ma per disdegno,
non servitù ma pace:
e quanto è più superba è più fugace.
 

***

A la mia bella Clori
fioriscan selve e dumi
e corran latte i rivi e mele i fiumi;
e senza ardire e gelo
rida la terra e 'l cielo:
l'indori Amor gli strali,
temprando i fochi al ventilar de l'ali.
 

***

E' lieta primavera
ove Filli si mostri
ne gli ombrosi fioriti e verdi chiostri;
paion l'erbe smeraldi e gemme i fiori,
cristalli i fiumi e i fonti;
son coronati i monti
di verdi mirti e di frondosi allori:
ma dove ella se 'n fugge,
il lieto e 'l verde si consuma e strugge.
 

***

Già mi dolsi, or mi godo:
ma se 'l piacer m'ancide,
torni il dolore e la mia vita affide.
Torni il mio duolo, e ceda
poscia al nuovo diletto il core in preda:
così nel giro alterno
faccia la doglia il mio gioire eterno.
 

A la signora Tarquinia Molza
la qual studiando la sfera
andava la sera a contemplar le stelle.

Tarquinia, se rimiri
i bei celesti giri,
il cielo esser vorrei;
perché ne gli occhi miei
fisso tu rivolgessi
le tue dolci faville,
io vagheggiar potessi
mille bellezze tue con luci mille
 

***

La bella pargoletta
ch'ancor non sente Amore
né pur noto ha per fama il suo valore,
co' begli occhi saetta
e col soave riso:
né s'accorge che l'arme ha nel bel viso.
Qual colpa ha nel morire
de la trafitta gente
se non sa di ferire?
O bellezza omicida ed innocente,
tempo è ch'Amor ti mostri
omai ne le tue piaghe i dolor nostri.
 

Sopra la voce del Brancaccio.

Mentre in voci canore
i vaghi spirti scioglie,
Giulio tempra in ciel l'aure, in noi le voglie.
Si placa l'aura, e 'l vento
placido mormorando
risuona, e van tuoni e procelle in bando:
un interno contento
n'accorda anco ne' petti
e i membri acqueta da' soverchi affetti;
e se pur desta amore,
gli dà misura e norma
col suon veloce e tardo e quasi forma.
 

***

Mentre in concento alterno
canta Anna teco e teco Laura a prova,
sue liti Febo con Amor rinova:
ché Febo le tue note,
spira lor voce Amore,
e rende questo e quel del suo furore
palesi in voi le meraviglie ignote.
Tu perché Febo il vanto
ne la tenzon seconda
riporti, i sensi vaghi, il cor circonda
de la dolcezza del tuo proprio canto;
ch'a la dolcezza esterna
ti farà quasi sordo al suo diletto,
novo Narciso al suon, non a l'aspetto.
 

***

Chiudi, deh, chiudi al canto
gli orecchi e indura il core,
che non ricetti i messagger d'Amore!
Ché se di fuor s'aggira
quel ch'i sensi lusinga,
pur che l'alma non stringa,
sol per breve vaghezza ella sospira.
Ma chi il varco precide?
L'uno a l'altro desio,
benché fuga ed oblio
son più sicuri ov'Amor canta e ride.
Fuggi; o t'inaspri tanto
sdegno e 'n sì dure tempre,
che per dolcezza il cor non si distempre.
 

***

Quando miro le stelle,
«S'aman» dico «là suso:
aprasi la prigione ove son chiuso,
quella in cui da natura
l'anima pargoletta
fu con gentili e cari nodi astretta».
Ma, quando via più belle
vostre luci rimiro
volgersi a me con amoroso giro,
«S'apra l'altra più dura
in cui sorte mi tiene
lunge» dico «da voi, luci serene».
 

A la signora donna Marfisa d'Este.

Portano l'altre il velo,
voi le chiome dorate
forse per alterezza al sol mostrate.
Ma s'a sdegno prendete
ogni esempio terreno,
con alti esempi il ciel vi mova almeno:
col vel d'Alba vedete
e lei che nacque in Delo,
e l'Iri il suo colora anco nel cielo.
 

Per la signora Tarquinia Molza.

Forse è cagion l'Aurora
di questo bel concento
che fan le fronde e i rami e l'acque e 'l vento?
O con sì dolce modo
il ciel Tarquinia onora
e per lei de la terra s'innamora?
I' odo, o parmi, i' odo
la voce: ella è pur dessa:
ecco, Tarquinia viene, Amor s'appressa.
 

***

Bella madre d'Amore,
chi tra le selve, le campagne e i monti
e tra i ruscelli e i fonti
giudice fu, qual già l'Idèo pastore,
Elena a te non chiede
in premio del giudicio e de la fede,
ma costei che s'appella
col nome ch'ebbe già l'empia sorella:
tu la concedi; e la fortuna sia
prospera sì com'ella è casta e pia.
 

1.
O timida lepretta,
che mentre fuggi per salvar la vita
giungi dove la morte è più gadita:
s'inanzi a sì begli occhi,
là dove io prego che 'l morir mi tocchi,
il morir ti dispiace,
non sai come riposo apporta e pace.

2.
O fortunata fuga,
o felice dimora
ed indugio al morir, perché ben mora!
Tu vieni ove la morte
solo aspettando par che mi conforte;
ove morria beato
quale in amore ha più doglioso stato:
e mentre la desio, mentre l'inarro,
prendo la lepre, come vuole, in carro.

3.
O fuggitiva e timidetta fera,
che sei cacciata dove in carro adorno
Madonna fa soggiorno,
deh!, non t'incresca, ch'in sì caro loco
avrei la morte a gioco:
perché dov'ella caccia, oh! pur me 'l creda,
esser io bramo o predatore o preda.
 

In lode de la Mesola

1.
Mesola, il Po da' lati e 'l mar a fronte
e d'intorno le mura e dentro i boschi
e seggi ombrosi e foschi
fanno le tue bellezze altere e conte,
e sono opre d'Alfonso, e più non fece
mai la natura e l'arte e far non lece:
ma che la valle sembri un paradiso
la Donna il fa che n'ha sembianti e viso.

2.
Ha ninfe adorne e belle
la casta Mergherita, et essa è dea,
se virtù fa gli dèi come solea:
però boschi, palagi e prati e valli,
secchi et ondosi calli
le fece il grande Alfonso e cinse intorno
navi e d'erranti fere ampio soggiorno,
e giunse i porti e i lustri in cui le serra
perché sia la prigion campo di guerra
e i diletti sian glorie
e tutte le sue prede alte vittorie.
 

***

O peregrina gru
che porti guerra a' miseri pigmei,
non mi furar costei:
ma se pur vuole il cielo in qualche stella
lei ch'è sempre fanciulla e sempre è bella,
mandi un'aquila almeno che se la porti su nel bel sereno.
 

Piange la morte de la Violina
cagnolina de la serenissima signora
Duchessa di Ferrara.

Fior che sovente nasci
a' bei sepolcri intorno
in cui la morte alberga e fa soggiorno,
oh! come tu somigli
il desiderio mio che 'l piè trasporta
dove la bella Violina è morta:
dove riposa e giace
fra dolci violette in santa pace.
 

Nel medesimo argomento

Pianto soave, pianto
di luci più soavi e più tranquille
di chiare stelle, vaghe e pure stille,
quai lamenti o quai lodi
fecer sì lieto mai l'estremo fine?
quai lagrimette dolci e cristalline,
o mesti e cari modi
ond'ebbe Violina ampia mercede,
onorata la morte e la sua fede?
 

***

«Dove corri? a la morte?» «Anzi a la vita,
perché dov'è beltate
spero trovar pietate».
«Forse non pensi esser da lei ferita?»
«Ma non saran mortali
le sue dolci percosse e i dolci strali».
«Non sai com'empia l'arco e come scocchi,
né solo co' begli occhi,
ma con la mano ancida
questa che voi di morte e noi già sfida?»
«Almen corro a la gloria,
ché fia bello il morir per sua "vittoria"».
 

***

Che soave rapina
fu quella del mio core
a l'armonia divina,
mentre sciogliea sì vaghi spirti Amore!
Onde fra me dicea da me diviso:
«Se questo è il paradiso,
più dolci che ne l'acque e fra l'arene
in ciel son le sirene!»
 

***

Fiori, voi che de' regi
portate impresso il nome,
non dispiegate sì odorate chiome
come le sparge questa
bella, saggia ed onesta
e nobil verginella:
che se preme col piè l'erba novella,
par che la terra mande
novi gigli e viole in novi modi
e più degne di far care ghirlande:
pur se tra l'erbe e i fiori
spesso legati son gli umani cori,
né può fuggire un animo gentile
che fra questi legami e questi nodi
non brami esser avinto,
e viver con Adone e con Giacinto,
quasi converso in fiore, un lieto aprile.
 

***

Non ha fiori il terreno
come questo mi pare
maraviglioso fior del vostro mare:
a cui non fu mai pare
in ramo o 'n prato ameno,
o pur di conca nel purpureo seno
tra i vaghi scogli e l'acque
fra cui Venere bella in prima nacque.
 

***

Questa lieve zanzara
quanto ha sorte migliore
de la farfalla che s'infiamma e more!
L'una di chiaro foco,
di gentil sangue è vaga
l'altra che vive di sì bella piaga.
Oh fortunato loco
tra 'l mento e 'l casto petto!
Altrove non fu mai maggior diletto.
 

Invidia la morte di una zanzara.

Tu moristi in quel seno,
piccioletta zanzara,
dov'è si gran fortuna il venir meno.
Quando fin più beato
o ver tomba più cara
fu mai concessa da benigno fato?
Felice te, felice
più che nel rogo oriental Fenice!
 

In morte de la signora Eritrea.

Che dolente armonia
di parole angosciose e di sospiri
par che intorno si giri?
E che mesto concento
fanno le fronde e i rami e l'acque e 'l vento?
E 'l vento e l'acque e i rami
e tutto ciò che spira e che verdeggia
solo per lei si discolora e piagne:
e i boschi e le campagne,
ogni armento, ogni greggia
par ch'Eritrea sol brami:
né preda ho senza lei con reti ed ami.
 

***

Perch'io talor mirassi
neve che senza vento
fiocchi soavemente in un bel colle,
o terso avorio e molle,
o peregrini marmi o fino argento,
o di candido augel tenere piume,
giamai non vidi paragon sì degno
che non l'abbiate a sdegno:
né bianchezza terrena
come il vostro candore, e la serena
e vaga e chiara luce
ch'è "bianca" più del sole e più riluce.
 

***

Voi la bocca rosata
e rosate le guance avete ancora
come vermiglia Aurora
e dorate le chiome,
e "bianca" sete, com'è il vostro nome.
Donque aver gloria eguale in voi dovria
il purpureo e l'aurato
ch'egualmente è lodato
dove grazia e bellezza in pregio sia:
ma pure ogni altro cede
al candor de la fede.
 

[da Uroboro 1 e Uroboro 2, Campi Bisenzio, Edizioni Mediateca, 1995.]


 
Inizio