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MADRIGALI DEL SEICENTO

Biblioteca Classica Uroboro

a cura di Paolo Pettinari
Edizioni Mediateca - 2001

 

Fonti

Marino e i marinisti, a cura di G.G.Ferrero, Milano-Napoli, Ricciardi, 1954.
Poesia italiana. Il Seicento, a cura di L.Felici, Milano, Garzanti, 1978.

 

Indice alfabetico degli autori
(Clic sui pallini verdi)

Vai ai testi ACHILLINI Claudio
Vai ai testi BATTISTA Giuseppe
Vai ai testi BRUNI Antonio
Vai ai testi CIAMPOLI Giovanni
Vai ai testi GIOVANETTI Marcello
Vai ai testi MAIA MATERDONA Gianfrancesco
Vai ai testi MARINO Giambattista
Vai ai testi MORANDO Bernardo
Vai ai testi PAOLI Pier Francesco
Vai ai testi QUIRINI Leonardo
Vai ai testi ROVETTI Giovanni Andrea
Vai ai testi SALOMONI Giuseppe
Vai ai testi STIGLIANI Tommaso
Vai ai testi TORTOLETTI Bartolomeo

 

Torna all'indice CLAUDIO ACHILLINI (1574-1642)

Donna perfida

Sleal, così dicesti:
"Quand'è più cieco a mezza notte il lume,
Vien: ché ignuda t'aspetto entro le piume."
I' me ne venni, ah cruda!,
Ma solo ti trovai di fede ignuda.
 

Donna vecchia vestita di color acqua di mare

Grave quantunque d'anni,
Il mio bel sol si veste
Di marino color tinta la veste.
Ma tu non t'ammirare
Ch'ei ne' cerulei panni,
In quella età cadente, imiti il mare:
E chi non sa che suole
Tuffarsi in mar, quando tramonta, il sole?
 

Costanza vestita di color acqua di mare

Se 'l vostro nome i' sento,
Il cor lieto si crede
Di ritrovar in voi fermezza e fede;
Ma se lo sguardo i' giro
A l'abito, che pare
Colorito del mare,
L'instabiltà de l'onde in voi sospiro.
Bocca, mio bel tormento,
Dimmi tu qual m'inganni,
Fede di nome o infedeltà di panni.
 

Collana di croci nere al collo della sua donna

Sparge Amarilli mia di nere croci
Del seno il latte, ond'io
Con la vista nudriva un bel desio.
Deh, che sperar più deggio,
Misero me!, se veggio
Scritto, mirando in sì bel foglio intento,
Con caratteri infausti il mio tormento?

*****

Torna all'indice GIUSEPPE BATTISTA (1610-1675)

Nasce da bianca madre fanciullo nero

La candida Mirinda
Nero fanciullo espone al dì vitale;
Come si vede ancora
Che genitrice mora
Partorì la bianchissima Clorinda.
S'altri stupore assale,
Io non ho meraviglia:
L'ombra, ch'è nera, anco del sole è figlia.

*****

Torna all'indice ANTONIO BRUNI (1593-1635)

I baci

Soavissimi baci,
Che son nettare ai labri e manna ai cori,
Già mi desti, o Licori.
Quinci un bacio vorrei
Rapir co' labri miei,
Per dir se sian più dolci e più graditi
I donati o i rapiti.

Bacia, baciami, o Clori,
Ma 'l tuo bacio si scocchi
O nel labro o negli occhi;
Perché l'anima mia,
Che negli occhi e nel labro ognor desia
E baciarti e mirarti
O mirarti o baciarti,
Goda pari dolcezza, amante amata,
O mirata o baciata.

Perché mentre mi baci,
Donna, mi mordi e vuoi
Ch'io provi dolci i baci e i morsi tuoi?
Aggiunsi i morsi ai baci,
Perché nel labro impresso il bacio io miri?
Sì, sì, con labri accesi e denti ingordi
Bacia, baciami pur, mordimi, mordi,
Perché dolcezza egual l'anima sente,
Se talor morde il labro e bacia il dente.

*****

Torna all'indice GIOVANNI CIAMPOLI (1589-1643)

Madrigale contro gli empi

Cangia in fulmini i chiodi
Tonante Crucifisso!
Fassi il mondo un abisso
Di stupri e stragi, fra rapine e frodi.
La barbarie felice
Trionfa ardita, e dice
Che tu sei statua e i nostri guai non odi.
Veggia la mentitrice
Che, ad estirpar delitti,
Tu sei Dio vivo e non hai pie' confitti.
 

Rosa donata ma secca. Dialogo Amante-Rosa

Amante

"Per mantenere in vita
La tua fragil beltade,
Dagli occhi miei non ti mancâr rugiade,
O rosa inaridita.
Ed or come ci mostri
Della tua gioventù pallidi gli ostri!"

Rosa

"Mi mancò l'oriente
Di quegli occhi sì belli,
Che in un orto ridente
Fan sempre germogliar fiori novelli."
Con sì soavi note
La bella rosa al mio parlar rispose.

Amante

"Stupisco: e come puote,
Con qual magia d'amore,
Formar parole un fiore?"

Rosa

"Me l'insegnaste voi, labbra amorose:
Ché in voi fatte canore,
Con sì dolce armonia parlan le rose."
 

Donna che con ventaglio si facea vento

Se di struzzo africano
Negre penne scotea la bianca mano,
Zeffiri partoria di paradiso
Per rinfrescar le rose
Che in quel celeste viso
Con primavera eterna Amor vi pose.
Ma fe' nella fornace del mio petto
Troppo contrario effetto:
Mantice fu quel vento
Che ravvivò le fiamme al fuoco spento.

*****

Torna all'indice MARCELLO GIOVANETTI (1598-1631)

Donna ch'innaffiava i fiori di mattina

Vedi Nice colà su 'l verde stelo
Que' languidetti fiori
Che fatti pria di sue bellezze avari
Entro i notturni orrori
Eransi ascosi in tenebroso velo,
Or mentre scarsi umori
Tu de la gelid'urna
Sovra lor versi con la mano eburna
Apron le foglie e il vago stel s'infiora
Imaginando che sii tu l'Aurora

*****

Torna all'indice GIANFRANCESCO MAIA MATERDONA (prima metà XVII sec.)

Amor travestito

La bella Elisa arava
Con terso eburneo vomere dentato
Campi d'oro animato.
L'era un garzone a canto,
Che i rotti stami ad uno ad un cogliea
E in sen gli nascondea.
Rise ella e disse: "Inutili capegli
A che tu serbi?" Ed egli:
"Quinci ordisco le corde a l'arco mio,
Quinci le reti ond'io
Impiago l'alme ed imprigiono il core.
Sappi ch'io sono Amore."
 

[I baci della donna muta]

Quand'io ti bacio, allora,
Muta bocca amorosa,
Muta bocca odorosa,
Intendo la cagion perché tu taci:
Nascesti solo a mormorar co' baci.
 

Fucina amorosa

Donna, ad una fucina
Fatto simil son io:
Foco è l'affetto mio,
Incude è la mia fè, la mia fermezza,
Mantice è tua bellezza,
E tenaglia il tu' orgoglio, acqua il mio pianto;
E l'arso acciar, che intanto
Si ribatte e ribatte, è questo core,
E gelosia martello e fabro Amore.
 

Bella fanciulla vestita di rosso

Qual nuvola vermiglia,
Se del sol s'attraversi a' rai nascenti,
Annunzia piogge e venti,
Tal queste rosse fasce
Che fanno nube a un più bel sol che nasce,
Annunziano a gli amanti
Venti d'alti sospir, piogge di pianti.
 

Fuoco amoroso

Selce, o Lidia, è 'l tuo sguardo:
La percote il focil del guardo mio;
Ne l'esca del desio
Favilla di beltà cade e s'apprende;
Amor tosto v'accende
De la speranza il solfo, e a poco a poco,
Per consumarmi il cor, dilata il foco.
 

Bacio rubato

Il mio baciar, madonna,
Fu rapina e non dono;
Troppo ardii, troppo errai; cheggio perdono,
E men pento e men doglio.
Ma se pria non mi spoglio
Del bacio ch'io rubai,
Meritarne il perdon non potrò mai;
Stendi dunque il bel volto:
Ch'io vo' riporre il furto onde l'ho tolto.
 

Dono di rime

Le chieste rime invio:
Ma sien degne di scusa e di perdono,
Se dolci elle non sono.
Nascer da spirto in amarezze immerso
Già non può dolce verso.
Fa' ch'io giunga una volta
Ai dolci labri tuoi
Quest'alma amara, in un sol bacio accolta:
Ch'ella saprà da poi,
Presa la qualità ch'oggi non have,
Verso formar soave.
 

Non può avere dalla sua donna altro che baci

Prodiga a me di baci
E' la mia donna, e del più dolce avara.
Impara, inferno, impara
Dal mio cor novi strazi e nove pene.
Sì, sì, ch'or mi sovviene
Che Tantalo assetato,
Tantalo sfortunato,
Con frode eguale egual martir riceve:
Bacia l'onde co' labri e non le beve.
 

Al signor cavaliere don Fulvio Testi

Non lungi da que' lidi,
Fulvio, ov'ebb'io le fasce,
Animaletto nasce
Che, s'altrui punge e morde,
Non si spera a la piaga altro soccorso
Che un dolce suon di corde.
Amor m'ha punto e morso,
Divino animaletto:
Se 'l dolce suon diletto
Di tua lira ingegnosa or non m'aita,
Non avrà pace mai l'aspra ferita.

*****

Torna all'indice GIAMBATTISTA MARINO (1569-1625)

Ninfa mungitrice

Mentre Lidia premea
Dentro rustica coppa
A la lanuta la feconda poppa,
I' stava a rimirar doppio candore,
Di natura e d'amore;
Né distinguer sapea
Il bianco umor da le sue mani intatte,
Ch'altro non discernea che latte in latte.
 

Pallore di bella donna

Pallidetto mio sole,
Ai tuoi dolci pallori
Perde l'alba vermiglia i suoi colori.
Pallidetta mia morte,
A le tue dolci e pallide vïole
La porpora amorosa
Perde, vinta, la rosa.
Oh, piaccia a la mia sorte
Che dolce teco impallidisca anch'io,
Pallidetto amor mio!
 

Donna che cuce

E' strale, è stral, non ago
Quel ch'opra in suo lavoro,
Nuova Aracne d'amor, colei ch'adoro;
Onde, mentre il bel lino orna e trapunge,
Di mille punte il cor mi passa e punge.
Misero! e quel sì vago
Sanguigno fil che tira,
Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira
La bella man gradita,
E' il fil de la mia vita.
 

Canto insidioso

Fuggite, incauti amanti,
La canora omicida,
Ch'asconde, empia ed infida,
Sotto note soavi amari pianti.
Quelle corde sonore
Sono i lacci d'Amore;
Quella che sembra cetra
E' d'Amor la faretra;
Quell'arco, arco è d'Amor; que' dolci accenti
Son saette pungenti.
 

Desiderio di bacio furtivo

Di furto, Amor, nascesti,
E 'n virtù d'un bel volto
Di furto il cor m'hai tolto;
E 'l bel volto, ch'adoro,
Quando formò Natura,
Nevi e perle, ostro ed oro
Quinci e quindi togliendo, e gigli e rose,
Pur di furto compose.
Or consenti che tolga a l'idol mio
Di furto un bacio anch'io.
 

Scusa di bacio mordace

Al desir troppo ingordo
Perdona, o Cinzia; e s'io ti suggo e mordo,
Scusa la fame ardente,
Ch'alletta al cibo suo l'avido dente.
Né tu lagnar ti dèi,
Ch'io macchi il volto tuo co' baci miei,
Ché l'altra Cinzia ancor, la dea di Delo,
Ha pur tinto di macchie il volto in cielo.

Errori di bella chioma

O chiome erranti, o chiome
Dorate, innanellate,
Oh come belle, oh come
E volate e scherzate!
Ben voi scherzando errate,
E son dolci gli errori;
Ma non errate in allacciando i cori.
 

*

Eccomi pronta ai baci;
Baciami, Ergasto mio, ma bacia in guisa
Che de' denti mordaci
Nota non resti nel mio volto incisa;
Perch'altri non m'additi, e in esse poi
Legga le mie vergogne e i baci tuoi.
Ahi tu mordi e non baci,
Tu mi segnasti, ahi! ahi!:
Possa io morir, se più ti bacio mai!
 

Guerra di baci

Feritevi, ferite,
Viperette mordaci,
Dolci guerriere ardite
Del Diletto e d'Amor, bocche sagaci!
Saettatevi pur, vibrate ardenti
L'armi vostre pungenti!
Ma le morti sien vite,
Ma le guerre sien paci,
Sian saette le lingue e piaghe i baci.
 

*

Perch'un bacio chegg'io,
Mordi il dito e minacci,
Bocca spietata, anzi m'ingiuri e scacci?
Sì, ch'un bacio desio:
Baciami, e poi, ben mio,
Mordi, minaccia, ingiuria pur, se sai;
Ché non saranno allor, benché mordaci,
Minaccie, ingiurie e morsi altro che baci.
 

*

L'odio, ch'hai tu nel core,
Te, Donna, odiar m'ha fatto, odiar Amore.
Odio dunque, e non amo: o pur s'am'io,
Amo sol l'odio mio:
E t'odio sì, che spesso
Sol per averti amato, odio me stesso.
 

Bacio involato

Perché fuggi tra salci,
Ritrosetta ma bella,
R cruda de le crude pastorella?
Perché un bacio ti tolsi?
Miser più che felice,
Corsi per sugger vita, e morte colsi.
Quel bacio che m'ha morto,
Tra le rose d'amor pungente spina,
Fu più vendetta tua che mia rapina.
 

Pendenti in forma di serpi

Quegli aspidi lucenti,
Che, d'oro e smalto in picciol orbe attorti,
Da l'orecchie pendenti,
Vaga Lilla, tu porti,
Dimmi: che voglion dir? Sì, sì, t'intendo:
Son de le pene altrui crude ed indegne
Misterïose insegne;
Ché, qual aspe mordendo,
Cruda ferisci altrui, sorda non senti
Preghi, pianti o lamenti.
 

Vite importuna

O di malnata vite
Invide foglie avare,
Che la finestra, onde 'l mio sole appare,
Intempestive ombrate,
Importune velate;
Se pur Borea sfrondarvi empio non vòle,
Deh! perché non vi secca il mio bel sole?
O perché pur al foco
De' miei sospir non cadi e non t'incendi,
Vite crudel, che la mia vita offendi?
 

Saluto nocevole

Mi saluta costei,
Ma nel soave inchino
Nasconde agli occhi miei
Gli occhi leggiadri e 'l bel volto divino.
O pietosa in aspetto
E crudele in effetto,
Avara or che farete,
Se, usando cortesia, scarsa mi siete?
 

Bombice d'amore

Fabro de la mia morte,
Sembr'io vermo ingegnoso,
Che intento al proprio mal mai mi riposo.
De le caduche foglie
D'una vana speranza mi nodrisco;
E varie fila ordisco
Di pensier, di desir insieme attorte.
Così, lasso!, a me stesso
Prigione insieme e sepoltura intesso.
 

Neo in bel volto

Quel neo, quel vago neo,
Che fa d'aurate fila ombra vezzosa
A la guancia amorosa,
Un boschetto è d'Amore.
Ah, fuggi, incauto core,
Se pur cogliervi brami o giglio o rosa!
Ivi il crudel si cela, ivi sol tende
Le reti e l'arco, e l'alme impiaga e prende.
 

Specchio dell'amata

Qualor, chiaro cristallo,
Vago pur di mirar quel vivo sole
Che 'n te specchiar si sòle,
In te le luci affiso,
Ahi, ch'altro non vegg'io che 'l proprio viso!
Specchio fallace, ingrato,
Se vagheggiar t'è dato
Volto fra gli altri il più ridente e vago,
Non dovresti serbar sì trista imago!
 

Fu spruzzato d'acqua dalla sua donna

Ne la viva fontana
De le lagrime mie la mano immerse,
E, di torbido umor poi che m'asperse,
La mia bella Dïana,
In nova forma e strana,
Il corpo no, ma l'anima converse.
Empia! poiché ti mostri a me sì cruda,
Mòstrati ancora ignuda!
 

Lettera amorosa

Foglio, de' miei pensieri
Secretario fedel, tu n'andrai dove
T'aprirà quella man, che m'apre il petto.
Oh felice, oh beato,
Se mai per grazie nove
In quel candido seno avrai ricetto!
Ma più, quando avrai poi,
S'avien ch'a te per sciorre i nodi tuoi
La bocca s'avicini,
Mille baci di perle e di rubini.
 

Venere assisa in una conca

Oh come in vaga conca
Siede lieta e vezzosa
La bella dea che 'nsanguinò la rosa!
La tua mercé, Castello, io la vagheggio
Senza alcun'ombra o velo,
Più bella in mar che 'n cielo;
Anzi, fatta immortal ancor la veggio
Più ne la tela tua
Che ne la sfera sua.
 

Eco

La bella di Narciso
Amante desperata
Qui vedi effigïata.
Vedi il crin, vedi gli occhi e vedi il viso,
Vedi la bocca replicar gli accenti;
Ma le voci non senti.
Ben sentiresti ancor le voci istesse,
Se dipinger la voce si potesse!
 

Endimione che dorme

Sorge la notte ombrosa
E verso il chiuso suo con pigra sferza
Il bifolco l'armento invola ai lupi.
Sol, tutto solo, in fra solinghe rupi,
In Latmo, o Cinzia, Endimïon si posa.
Sol de la greggia insieme e del pastore
Vigila in guardia Amore:
D'un fanciullo un fanciullo. Un dorme, un scherza.
Tu, che da' sommi inargentati seggi
Il tuo vago vagheggi,
Scendi, che fai? deh, scendi
E la cura ne prendi;
Che 'ntanto là nel ciel, per l'ombra oscura,
Prenderà del tuo carro Amor la cura.
 

Zefiro e Clori

Baglion, Zefiro e Clori,
De' prati e de' giardin fecondi dei,
De' lidi canopei
Vezzosi abitatori,
Dipingesti si vivi,
Che con scherzi lascivi
Già già spirano aurette e fioccan fiori;
E i fior son sì ben finti
Che si senton gli odori ancor dipinti.
 

Siringa

Non altro che l'accento
Manca, Boscoli mio,
De' boschi al rozo dio,
Ch'a la sua bella trasformata intento,
Movendola col vento
De' rabbiosi sospir, par che le dica:
"Cruda d'amor nemica,
Nulla meglio potea
Ritrar del sesso tuo la forma vera
Altro che canna mobile e leggiera".
 

La testa di Medusa in una rotella

Or quai nemici fian che freddi marmi
Non divengan repente
In mirando, Signor, nel vostro scudo
Quel fier Gorgone e crudo,
Cui fanno orribilmente
Volumi viperini
Squallida pompa e spaventosa ai crini?
Ma che? poco fra l'armi
A voi fia d'uopo il formidabil mostro:
Ché la vera Medusa è il valor vostro.
 

Licaone in lupo

Dal cibo abominando
Del pargoletto ucciso
Torce Giove sdegnoso il guardo e 'l viso;
Ond'empie l'uccisor, cangiato in belva,
D'ululati la selva.
Figin, l'atto è sì crudo e sì nefando
Che l'occhio il prende a schivo;
Se non ch'espresso al vivo
Dal tuo divin pennello,
L'orror diletta e 'n sì bell'opra è bello.
 

Ruggiero e Bradamante

Due ben temprate cetre
S'avien che 'n egual tuono
Di consonanza armonica e concorde
Musica mano accorde,
Con concerto reciproco e canoro
Si rispondon tra loro;
Ma con più dolce suono
D'amorosa armonia
Ne' vostri cor, che l'aureo stral ferìa,
Si riscontraro, o fortunati amanti,
Sospiri con sospir, pianti con pianti.
 

Erodiade con la testa di San Giovanni Battista

Mentre, in giro movendo il vago piede,
La danzatrice ebrea
Ciò, ch'a pena potea
Soffrir con gli occhi, co la lingua chiede;
Ebro il re palestino
Di lascivia e di vino,
Le dona pur, dal giuramento astretto,
Il capo benedetto.
Oh più perfida assai, che ciò concede,
D'ogni perfidia altrui, perfida fede!
 

San Girolamo

Oh come espresso al vivo,
Con le ginocchia a terra, il santo vecchio
Ne l'antro ombroso, a piè d'un chiaro rivo,
Si batte il petto e, sospirando, a Dio
Del suo grave fallir chiede perdono!
Sentirebbe l'orecchio
Del sasso i colpi e de la voce il suono,
Se del vicino rio
Non fusse il mormorio.
 

Madonna

Finto non è, ma spira
Il divin pargoletto,
Ch'a la vergine madre in grembo posa.
Mira i dolci atti, mira
Con qual pietoso affetto
Le ride e scherza... E ben mover vedresti
I bei membri celesti;
Ma non vuole e non osa
(Sì lo stringe d'amor tenace laccio)
A la gran genitrice uscir di braccio.
 

Marco Bruto

"Fuggi, fuggi lontano:
Ecco il nemico vincitor si vede
Già vicino che riede!"
Così, timido e smorto, a Bruto audace
Disse un fido seguece.
"Fuggirò, non col piè, ma con la mano",
Risponde, e 'l ferro stringe e 'l petto fiede.
Veramente romano,
A cui fu sol concesso
Prepor la patria al padre ed a se stesso!
 

Il cardinal Baronio

Gran cronista di Dio,
Mentre che scrissi i suoi terreni annali,
Fui negli annali eterni ascritto anch'io;
E, trattando la penna, alzai le penne
Colà dove egli venne
A scriver sopra i dì caduchi e frali
Di quest'anno mio breve anni immortali.
 

Il cardinal Bellarmino

Del drappello d'Ignazio al bel governo
De la gran navicella
Scelto quaggiù da l'Argonauta eterno,
Contro il furor del gelido aquilone
Che dal settentrione
Movea crudele ed orrida procella,
E contro i fieri inganni
Degli assalti britanni,
Trattai di santità remi possenti,
Scoccai di verità fulmini ardenti.
 

Cornelio Musso

Tace, Bernardo, o parla
Il gran Cornelio in tue vivaci carte?
Se parla, ond'è che 'l suon de le sue note
Udir altri non pote?
Se tace, or come fai
Tacer chi, a nostro pro, non tacque mai?
Oh miracol de l'arte!
Il silenzio è loquace,
La pittura eloquente, e parla e tace.
 

Il Castelficardo

Dipingimi il sembiante,
Castel, del gran Castello,
Tu ch'a gloria sovrana alzi il pennello.
Fa' di cener la veste,
Cener ch'asconde in sé foco celeste;
Fa' che ruvida corda il fianco cinga,
Corda il cui santo groppo a Dio lo stringa;
Da' grazia al volto e gravitate a l'atto.
Tanto basti al ritratto:
Più non tentar, se pur non sei bastante
A dipingere il fulmine tonante.
 

Lucrezio

Gli effetti di Natura
E i secreti del ciel seppi e cantai,
E la mia penna oscura
Con la luce del nome immortalai;
Ma la vita futura,
Incredulo filosofo, negai.
Tutto intesi e spiai,
Ma, più scernendo assai lunge che presso,
Tutto conobbi alfin, fuor che me stesso.
 

Marco Valerio Marziale

E' prato, è mare, è cielo,
Che fiori e perle e stelle in sé nasconde
Di dottrine profonde,
La tua varia scrittura, arguto Ibero;
E faceto e severo
Sa, quasi ape sottile,
Il tuo ingegno, il tuo stile,
In cui di sale è temperato il fele,
Pungere e trar da le punture il mèle.
 

In morte di Michelagnolo da Caravaggio

Fecer crudel congiura,
Michele, a' danni tuoi Morte e Natura:
Questa restar temea
Da la tua mano in ogni imagin vinta,
Ch'era da te creata e non dipinta;
Quella di sdegno ardea
Perché con larga usura,
Quante la falce sua genti struggea,
Tante il pennello tuo ne rifacea.
 

Virginia

Deh, stringi il ferro, stringi,
Fa ciò che fai ardito, o genitore:
Meglio è ferir il petto che l'onore.
Anzi, mentre di sangue il sen mi tingi,
Di mille fregi il nome mi dipingi;
E vie più ti devrò, da te svenata,
Che da te generata.
Se son tua, puoi ferire,
Se son mia, vo' morire.
 

Elena

Augel di bianche penne,
In un parto con Castore e Polluce,
Mi produsse a la luce.
Penna poi non men candida e gentile
Scrisse le mie fortune in chiaro stile;
E ben certo convenne
Che, come fui da un cigno generata,
Così da un cigno ancor fossi cantata.
 

Elena

De la volubil mia
Leggerezza incostante,
Ch'abbia il letto schernito
Del pregiato marito, e che mi sia
Data in balia d'un peregrino amante,
Non fia chi mi ripigli,
Né chi si meravigli:
Però ch'esser non deve
La figlia d'un augello altro che lieve.
 

Isabella Andreini, comica gelosa

Ben la fronte serena,
Che fu scena d'amor, veggio, Isabella;
Veggio la luce ardente
Degli occhi, che già, vivi,
De' teatri festivi
I chiari lumi abbarbagliâr sovente.
Ma la lingua eloquente
Non odo articolar d'alta favella:
Fors'ella, fatta a le celesti eguale,
Sdegna orecchio mortale.
 

Farfalla

Farfalletta gentil, che per costume
Intorno ai chiari ardori
Bella morte cercando ti raggiri,
Se ben la vista sol de' tuoi colori
Contenta i miei desiri,
Non fia però giammai che tra gli orrori
Notturni io ti rimiri;
Acciò che, vaga de l'amato lume,
Non ti convenga incenerir le piume.
 

Pecchia

Ape, sottil maestra
Di fiorito lavor, dimmi se l'arte
Del vago ingegno tuo giunge a la destra
Di chi t'ha finta in carte;
Di' se vedesti mai tra tanti fiori
Sì novi e bei colori
Ch'agguaglin quel che 'l gran pennel discopre.
Dirai: "Le mie bell'opre
I miei melati e rugiadosi favi,
Del suo leggiadro stil son men soavi".
 

Zanzara

Come, oh vivace
Spieghi dorate e minïate l'ale,
Sussurratrice garrula e mordace!
Non di mortal pittore
Opra creder ti voglio, anzi immortale
Sei tu, cangiato in altra forma, Amore.
Lo stimolo pungente
De l'arrotato dente
E' certo l'aureo strale,
Onde in un di diletto e di stupore
Dolce trafigi a chi ti mira il core.
 

Amore che dorme in una fontana

Benché di fredda pietra
Sovra l'umida sponda
Senza face e faretra
Mi giaccia e dorma al dolce suon de l'onda,
Alcun però non sia
Che sprezzi il mio valor, la fiamma mia,
Né l'affidi il vedere
Ch'Amor, fatto di pietra, acque distille;
Ché da le pietre ancor escon faville.
 

Venere e Adone

Non finto, è vero, è vivo
Quell'Adon, che leggiadro in sen si posa
A la diva amorosa;
E, se ne l'atto suo vago e lascivo
A noi mai non si volge e non risponde,
O dorme al suon de l'onde,
O de le belle braccia uscir non vòle,
O i baci gl'interrompon le parole.
 

Cacco

Férmati, non ferire,
Alcide valoroso,
Quel ladro mostruoso:
Ché se la clava tua quel marmo spezza,
La cui fiera bellezza
Tanto agli occhi diletta,
Il danno fia maggior che la vendetta.
 

Testa di Demostene in una fontana

Da le labra faconde,
Vivo, versai con rapido tesoro
Torrenti di fin oro; or verso, spento,
Vene di vivo argento:
Quei nutrivano i cori,
Queste irrigano i fiori.
E' ben ver che il sussurro di quest'onde
Al sonno alletta, e 'l mormorio di quelle
Gl'intelletti rapia sovra le stelle.
 

Pasquino

Non cercar, tu che passi,
Come favelli e scriva
Una pietra insensibile e scolpita,
Che de la mano e de la lingua è priva.
Fôra ancor poco a quest'età cattiva,
Poiché taccion color ch'han voce e vita,
Quand'io non sol parlassi,
Ma parlando scoppiassi,
Per romper con lo scoppio e testa e braccia
A chi mi fa parlare, e vuol ch'io taccia!
 

Il facchino

Oh con che grato ciglio,
Villan cortese, agli assetati ardenti
Offri dolci acque algenti!
Io ben mi meraviglio,
Se vivo sei, qual tu rassembri a noi,
Come in lor mai non bagni i labri tuoi.
Forse non ami i cristallini umori,
Ma di Bacco i licori!
 

La Notte

Me, ch'abbia vita e spiri,
Notte di freddo sasso,
O peregrino, ammiri?
Vivo, e sol tanto ho vita
Quant'io son qui scolpita;
E s'io non parlo e s'io non movo il passo,
Che colpa ha la scultura?
Muta e pigra la Notte è per natura.
 

La sua donna

Bramo, né pur mi lice,
Trar dal bel finto volto in cera espresso
Un vano bacio, ed ingannar me stesso;
Ché se pur, infelice,
Le labra ardito a le sue labra appresso,
Insensibile ancor temo non fugga;
Temo, oimè!, non si strugga,
Al foco de' sospir, tenera e molle.
Ma di che temo, folle?
Ancor di cera, ahi lasso!,
Dura meco è costei più che di sasso.
 

La sua donna

In ricca gemma scolto
Splende di Lilla il volto;
E' la gemma zaffiro, e di zaffiro
Sono gli occhi divini;
Oro è quel che la chiude in picciol giro
E d'or sono i bei crini;
Né certo in altro esser devea quel viso,
Ch'è la gemma d'amor, che 'n gemma inciso.
 

Maddalena

Lagrimasti e piangesti
A piè del tuo Signor, donna pentita;
Tra spelonche e deserti indi traesti
Lagrimando la vita.
Or in ambra lucente e prezïosa
Pur ti stai lagrimosa:
Oh ben saggio colui che t'ha scolpita!
Esser non devea d'altro il tuo ritratto
Che di lagrime fatto.
 

Edera nata nella mano di una baccante

Perché tenti impedire,
Edra licenzïosa ed arrogante,
Con le braccia tenaci,
La man che vuol ferire
Del proprio sesso un scelerato amante?
Or t'intend'io: le piante
Son tutte del cantor de' boschi traci
Ed amiche e seguaci.

*****

Torna all'indice BERNARDO MORANDO (1589-1656)

Bella donna vestita a duolo

S'io miro il manto e il velo
Che la fronte serena e il sen v'ingombra,
Bella, io vi stimo un cielo
Cui fosca notte adombra;
Ma se lo sguardo affiso
In sì bel viso e di tai raggi adorno,
Voi mi sembrate un sol che porti il giorno.

*****

Torna all'indice PIER FRANCESCO PAOLI (prima metà XVII sec.)

Vecchio canuto amante

Donna, come il cor vostro
Amore in sé riceve
D'un amante ch'ha il crin sparso di neve?
Ei così rappresenta
Il Tempo, oltraggiator della bellezza;
E ciò non vi spaventa?
Strana d'amor vaghezza
Gradir un per amante
Ch'ad un vostro nemico è somigliante!
 

Capelli rossi

Al color de la chioma
Sembri cometa ardente,
Ed ai lampi de gli occhi un sol lucente.
Spieghi crine sanguigno,
Spargi lume benigno:
Oh forme altere e sole!
Sotto crin di cometa occhi di sole.
 

Bellissima signora che, venendo di villa, era tutta polverosa

Donna, foco de' cori,
Questa che ti ricopre i ricchi manti
Polve non è, ma cenere già spento
D'arsi infelici amanti,
Che, messaggio d'amor, qui porta il vento;
E di cenere pur coperta splendi,
E di cenere pur coperta incendi.
Null'altr'opra d'amor questa pareggia:
Foco che cener copre arde e lampeggia.
 

Una scheggia in un dito di bella donna

Quella scheggia minuta,
Ch'io ti trassi dal dito,
E' una saetta acuta
Ch'il mio core ha ferito.
E che sperar poss'io da la tua mano,
Se mi ferisce ancor quando la sano?
 

Per la medesima occasione

Lascia, pungente scheggia,
La sommità di quel soave dito;
Scendi al mio cor ferito,
Raddoppia qui la tua mortal puntura:
Per salute di lui morir non cura;
E fia tuo doppio onore
Sanare un dito e saettare un core.
 

Stella di cristallo sul crine di bella donna

Ché non tramonti omai, candida stella,
Con rapido baleno,
Dal ciel di quel bel crin nel mar del seno?
Ma tramontar non puoi:
Ché sei coi raggi tuoi,
Ne l'oceàn de' pianti,
Tramontana adorata ai cori amanti.
 

Per la medesima

T'inchino, amica stella.
Forse da quel bel crin, luce bramata,
Mostri ch'è già cessata
Al naufrago mio core
La tempesta d'amore.
 

Per la medesima

Rozzo cristallo informe
Nato sei tu di cava rupe in seno.
Or ne l'aureo sereno
D'una chioma lucente
Fiammeggi, astro ridente.
Non d'Amor, di Fortuna il nume adoro:
Chi per culla ha una rupe, è in trono d'oro.
 

Lazzaruola donata

Io non credea ch'avesse arte o natura
Color che rassomigli
I tuoi labri vermigli;
E pur loro è simìle
Questo che m'hai donato,
Lilla, frutto gentile.
Sì, sì, tu l'hai baciato
(Lasso!), e la bocca in esso
Ha il bel color de le tue labra impresso.

*****

Torna all'indice LEONARDO QUIRINI (prima metà XVII sec.)

Giuoco di neve

Cadeva a poco a poco
Giù dagli aerei campi
Gelata pioggia e ne copriva i tetti,
Quando l'idolo mio
Ch'era in sublime loco,
Vago pur di ferirmi,
Non ritrovando altr'armi
A piagar più possenti,
S'accinse ad aventarmi
Di quell'argenteo umor folgori algenti.
Aventava egli, ed io
Benché cauto schermirmi
Fui colto, oimè. Meravigliosi effetti:
Sentii il gel feritore,
Agghiacciandomi il seno, ardermi il core.
 

[Gelosia della bellezza]

Se ben siete l'idea
Della stessa beltate,
Cinzia, non v'adirate
Che 'l pregio di bellezza io non vi dia.
Ché questo io scrivo ad arte,
Spinto da gelosia,
Perché vostra beltà ne le mie carte
Adombrata non sia.
Voletelo sapere? Io vi vorrei
Brutta a gli altrui e bella a gli occhi miei.
 

[In morte di Claudio Monteverde padre della musica]

O tu che in nere spoglie
Del gran padre de' ritmi e dei concenti
L'essequie rinnovelli e le mie doglie,
Segui gli uffici tuoi dolenti e mesti,
Ma pian, sì che nol desti;
Ch'egli estinto non è, come tu pensi,
Ma stanco del cantar dà al sonno i sensi.

*****

Torna all'indice GIOVANNI ANDREA ROVETTI

[Il pianto del figliuolo]

Un picciol cane, un ghiro ed un augello
Del tuo caro fanciullo
Sono, bella Lisetta, ognor trastullo.
Ruzza col ghiro il cane,
Ne brilla il putto in vista;
Ma l'augel, che non tresca e becca il pane,
Infranto ne rimane:
Tu ne ridi, io ne godo, ei se n'attrista,
E scaccia stizzosetto
Il ghiro e 'l cane, e piagne l'augelletto.
Se ridi, o cruda, del tuo figlio ai guai,
Al mio duol che farai?
 

[Premendo il piede]

Tu chiedi quel ch'io voglio,
Quando a mensa talor ti premo il piede?
Ah, che ne gli occhi ogni tuo sguardo il vede!
Lusingando t'infingi,
E 'l bianco volto in bel rossor dipingi.
Vorrei, dolce ben mio...
Lasso, ch'a dirlo m'arrossisco anch'io!

*****

Torna all'indice GIUSEPPE SALOMONI (1570 - seconda metà XVII sec.)

Collana d'oro della sua donna

Cieco, Amor, se non fossi,
Cieco, sì come sei,
Cieco ti crederei:
Ecco, de' lacci tuoi,
Mentre a madonna il cor cinger volesti,
Il collo le cingesti.
Or, s'emendar pur vuoi
Di tua cieca follia l'espresso errore,
Scioglile il collo e le incatena il core
 

Ballo, suono e canto di bella donna

Danzano in ciel le stelle
Lucidissime e belle;
Movon le Muse in Pindo il plettro d'oro
Dolcissimo e sonoro;
Cantano per l'arene e coi concenti
Frenano le Sirene il volo ai venti.
Donna, ma qualor voi movete il piede
Al ballo, al suon la man, la lingua al canto,
Vi cedono ogni vanto,
In cielo, in Pindo e ne le salse arene,
E le stelle e le Muse e le Sirene.
 

La cicala

O rauca sì, ma rara,
Stridola sì, ma cara,
De la dea biondeggiante
Messaggera volante;
De la stagion più fruttüosa e calda
Canora insieme e strepitosa aralda;
   Questa acerba tua voce
Offende, ma non nòce;
Ruvidetta e loquace
Spiace a l'orecchie e piace;
Anzi mai sempre è con diletto udita,
E quanto è più spiacente è più gradita.

*****

Torna all'indice TOMMASO STIGLIANI (1573-1651)

Desiderio di luna

Matarazzi del cielo, oscure nubi,
Ch'or tenete celata
La celeste frittata:
Scopritela, vi prego, agli occhi miei;
Perch'al lume di lei
Io scriver possa alcune rime sdrucciole:
Non ho più gatta e non si trovan lucciole.
 

Scherzo d'immagini

Mentre ch'assisa Nice
Del mare a la pendice
Stava a specchiarsi in un piombato vetro,
Io, ch'essendole dietro
Affisati i miei sguardi a l'acqua avea,
L'ombra sua vi vedea
Con la sinistra man di specchio ingombra:
E ne lo specchio ancor l'ombra de l'ombra.
 

Lode del vino

Vin, sangue de la Terra,
Via più caro a' mortai che 'l sangue vero;
Benedetto il primiero
Che ti trovò. Per te s'ardisce in guerra,
E si sta lieto in pace.
Discacciator verace
De l'umana tristezza,
E tesor d'allegrezza,
Liquefatto rubin, tenera gioia,
Ch'entrata a' nostri seni
Altra gioia invisibile divieni.
 

Bellezze divinissime

Tutta fatta voi siete
Di materia di cielo:
I lucid'occhi avete
Dal pianeta di Delo,
E dall'iride il ciglio
E dall'alba il color bianco e vermiglio;
Dalla rugiada il pianto,
Dal lampo il riso e dalle sfere il canto.
Ma un non so che, ch'adorna ogni vostr'atto,
Dite, donde l'aveste?
Ch'egli è, se lice dir, più che celeste.
 

Farfalla uccisa dagli occhi

Farfalletta, mia misera rivale,
Che, vaga de' begli occhi, in quelli entrasti
E morta vi restasti,
Scotendone due lagrime coll'ale:
Certo frenavi il volo,
S'avessi del periglio
Chiesto al mio cor consiglio,
Al mio cor, che perì d'un guardo solo;
E tanto più di te misero, quanto
Ch'egli il riso in esequie ebbe, e tu il pianto.
 

Velo essaltato

O nube tralucente,
Di bianco lin contesta,
Ch'al mio bel sol sovente
Le guance e l'aurea testa
Veli, sì, ma non celi:
A te propizi i cieli
Siano, e per benda sua t'adopri Amore;
Quantunque sia maggiore
Ventura, al creder mio,
L'esser in fronte a lei che in fronte a un dio.
 

Risanamento

Volea nella mia donna
Stender la falce insana
La metitrice d'ogni vita umana;
Quand'ecco, in quel sembiante
Viste bellezze tante,
Ne restò sì invaghita
Ch'in vece di ferir venne ferita.
O dell'alme signore,
Potentissimo Amore,
Far amante la Morte,
Questo solo mancava alla tua corte.
 

Amante simile alla fucina

Fatto è quasi il mio petto
Una viva fucina,
Ov'Amor fabbro affina
L'or del mio puro affetto
Con foco di desiri,
Mantici di sospiri
E martel di dolore,
Sopra l'incude misera del core.
 

Gelosia

Cotanta gelosia
Ho della donna mia,
Che, non ch'io tema spesso
Di ciò ch'ella ha d'appresso,
Ma infin coll'ombra sua m'adiro ancora
Che le va dietro ognora,
E par che, quasi fatta mia rivale,
Mostri anch'ella desio
Di volerla seguir, come facc'io.
 

Fanciullo attraversato fra l'amante e l'amata

Fra me interposto e 'l mio bel sol divino,
Importuno bambino
M'avea sua vista ascosa
Con eclissi amorosa;
Quand'io: "Deh, perché" dissi "empio fanciullo,
Mi vieti il mio trastullo?
Dunque è tant'odio in fanciullesco core?
Ma tu se' forse il mio nemico, Amore".
 

Ape morta

Una pecchia, volata
Della mia Lidia al bel labro gentile,
Gliel punse e, com'è stile,
Nel ritrar l'ago vi rimase uccisa.
Oh felice, oh beata
Chi ebbe mai tal sorte:
Morir del paradiso infra le porte!
 

Rimembranza d'amor puerile

Essendo Lidia ed io
Già fanciulli ambeduo,
Io scrissi il nome suo
Ne' tronchi de' più piccoli arboscelli;
E poi, crescendo quelli,
Son cresciute le note e i segni impressi,
E cresciuti noi stessi.
Così fusser cresciuti anco gli affetti
In ambi i nostri petti!
Ma, lasso!, in me s'è fatto
Giovane Amor, ch'era fanciullo avante,
Ed in lei di fanciul s'è fatto infante.
 

Baci

Se son, come tu dici,
Lidia, le labbra mie siepi spinose,
Le tue son molli rose.
Dunque, perché mi vieti
Ch'io con soavi baci
Queste a quelle congiunga ed avicine?
Stan pur presso alle rose ognor le spine.
 

Rivalità di fiori

Il giglio ama la rosa,
Ed ella lui non sdegna;
Ma più inchina al giacinto,
Sol perché quello un "ahi" mostra dipinto.
Ecco lite amorosa
Fra 'l giacinto ed il giglio.
L'un dice: "Io son vermiglio,
Com'è la bella sposa".
L'altro dice: "Io son pallido in sembiante,
Com'esser dee l'amante".
Ella si sta tra l'uno e l'altro fiore
Ad udir con rossore;
Poi lor concede a ciascheduno un bacio,
Quasi volendo dir: "Nessuno escludo;
Siami il giacinto sposo, e 'l giglio drudo".
 

Bellezza simile alla pescagione

Tutta nella tua faccia,
Nice, raccolta hai l'arte della pesca:
In fronte hai la bonaccia,
Ne' capegli la rete,
Negli occhi l'amo e nello sguardo l'esca.
Solo l'accesa face
Non hai del pescatore:
Ché quella in vece tua l'ho io nel core.
 

Bacio dimandato con arguzia

Ier, che tu dolcemente,
Al suon di questi rivi,
Bella donna, dormivi,
Un bacio io ti furai tacitamente.
Volentier tel confesso,
Perché‚ già ripentito
Del furto ch'ho commesso:
Voglio al tuo vago volto
Render quel che gli ho tolto.
 

Desiderio di lucciole

Belle lucciole mie,
Fiaccolette vaganti
E baleni volanti,
Vive faville alate,
Vive stelle animate,
Ammassatevi in groppo,
Fate tutte una lucida congiura
Contra la notte oscura;
E venite il mio albergo a render chiaro:
Ché‚ dell'oliva il verde sangue è caro.
 

Desiderio di lucciole

Lucciole mie, che d'or le groppe avete,
E di notte lucete,
Lanternini animati,
Candele vive e moccoli incarnati,
Fuss'or d'estate, ch'io potessi avervi
E in un vetro tenervi:
Poiché‚ non ho più gli occhi
Della gatta gentil, che mi fuggìo,
Lucerna antica dello studio mio.
 

Desiderio di migliore stagione

Garrulo zefiretto,
Tromba di primavera,
Ch'ad intimar eletto
La sua voglia guerriera
All'inimico verno,
Lo squadrone incoraggi degli odori,
E innanimi l'essercito de fiori,
Vienne tosto, deh, vienne!
Rieda il buon tempo, a ciò che così sia
Spesso vista da me Bubula mia.
 

Vespa ripresa

Vespa, che sei dell'ape
Quasi picciola scimia,
Poi che fai del suo favo emula alchimia,
Deh, perch'hai punto coll'aculeo scabro
A Bubula il bel labro?
Se fatto l'hai per succhiellarne il mèle,
Sei scorsa in folle fallo;
Ch'ivi è sol tòsco in coppa di corallo.

*****

Torna all'indice BARTOLOMEO TORTOLETTI (prima metà del '600)

*

Orrido verno intorno
Estinti, o mio bel foco, ha tutti i fiori;
Quelli del tuo soggiorno
Sovrastan soli ai gelidi rigori.
Qual meraviglia, o Clori?
I gigli e le viole
Gelar non ponno ov'è perpetuo Sole.

 

[da: Uroboro 4, Campi Bisenzio, Edizioni Mediateca, 1995.]


 
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