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Scuro d'ali
di Mirco Ducceschi
 
Viene, eccolo ancora, è il mio angelo scuro, è l'angelo che torna imbronciato, che reca a stento un'altra sentenza di morte, l'indizio di un male particolare, l'ultima (e non lo è mai) conferma di un'incapacità che solo a me appartiene. Dunque viene, si muove con le sue ali di pece sulle scapole magre, ali appiccicate, ali da dover salire le scale come tanti, da bussare ansimando come un vagabondo.
  Il mio angelo scuro, il mio angelo così poco sovrannaturale, le sue sentenze su fragili papiri, confuse come filo imbrogliato, come se non serbasse memoria, né gloria nell'indice che punta e brandisce fino a sfibrarsi, fino a tremare.
  - Tu...Tu...- dice finché le labbra non gli si seccano su quell'inutile ribadire. Il mio angelo scuro, il mio angelo incapace di maledire.
  - Vieni, sediamoci, spengo la luce - gli dico - Vediamolo il buio di cui parli -.
 
(Da Scuro d'ali con favole, in Uroboro 2, Ed.Mediateca, Campi Bisenzio, 1993. © dell'autore.)
 

 

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