Indice L'area di Broca
 
L'Area di Broca
Indice n.68-69
 

Mediateca Italiana
 
Mediateca Italiana

 

 

"L'area di Broca", XXV-XXVI, 68-69, 1998-99

SCRITTURA

 

Alessandro Serpieri

I pinguini della razza Imperatore

Passa in televisione un documentario dall'Antartide, sui pinguini della razza Imperatore. Ha immagini di grande suggestione, girate in gran parte nella notte polare, e racconta una storia che ha la durata di alcuni mesi. Ha un pathos epico, o tragico, sospeso tra la vita e la morte, e uno scioglimento che è come un inno alla luce o addirittura come il beethoveniano inno alla gioia.
   Cosa mi passa in mente allora? Un impulso, un'urgenza, di chissà quale natura a registrare immediatamente tutta questa storia in parole, forse per trasmetterla a chi non ha visto il programma, forse per viverla e riviverla con un altro mezzo. Così, di colpo, avviene la scrittura. Che racconta con stupore la straordinaria storia di cova e nascita dei pinguini della razza Imperatore nelle lande ghiacciate dell'Antartide.
   Nel tardo autunno del Polo Sud questi pinguini si radunano a centinaia, alti e dignitosi, nella loro livrea bianca e nera, formali in frac naturale, ed ecco che le femmine delle coppie (in regime evidentemente monogamico) depositano con qualche fatica il loro unico uovo, che i maschi, testimoni attenti e solerti dell'evento, a solo un metro di distanza, immediatamente fanno rotolare con le zampe dentro una cavità profonda nell'addome piumato affinché non sia esposto per più di pochi secondi al grande gelo che incombe. A questo punto, le femmine salutano i rispettivi consorti e se ne vanno, allegre e sbadate, verso luoghi in cui possano nutrirsi, verosimilmente nelle acque gelide che ancora ondeggiano nere e ricche di pesci sulla banchisa polare.
   E i maschi che fanno con il loro prezioso uovo nascosto nella pancia? Si radunano in cerchio, formano una specie di stazzo di se stessi, a centinaia, cerchio dentro cerchio, per proteggersi dalle temperature sempre più basse, fino a sessanta-settanta sotto zero, ora che la notte antartica si profila nel lento scomparire, sull'orizzonte di ghiaccio, dell'ultimo sole. D'ora in poi, i pinguini se ne staranno fermi, addossati gli uni agli altri in cerchi concentrici, sagome sempre più nere, silenziose, quasi ieratiche nella loro postura eretta dentro la notte tragica in cui covano il futuro della specie, mentre a sprazzi solcano il cielo, a partire dall'orizzonte, i lampi fantasmagorici dell'aurora australe, del sole che non ritorna ma sventaglia di là, sotto alla curva della terra, le particelle elettrizzate che corrono in tempeste sulle guance del pianeta lanciato in folle corsa dentro il gelo dello spazio.
   Sentono forse, oltre a questo gelo dei ghiacci e dei venti, anche quel gelo siderale in cui sono immersi e che possono testimoniare guardando, nella loro lunghissima attesa, i fantasmi di luci che vanno per il cielo e talvolta investono il loro stazzo di sagome spettrali custodi di vita? A guardarli nel loro silenzio composto, solo ogni tanto attraversato dal fruscio, per così dire, del cambio di guardia, per cui gli individui esterni del grande stazzo si portano barcollando dal cerchio estremo verso l'interno avendo assolto per il loro turno alla funzione di riscaldare il branco e venendo accolti nel ventre muto del branco stesso lasciando ad altri il compito di proteggere tutti gli altri dall'intollerabile morsa del freddo australe e siderale, a guardarli in questo rito dignitoso e mortale, essenziale da sempre alla perpetuazione della loro specie, non si può non essere presi da uno stupore sacro, perché nella grande notte si sta incubando il seme della vita, perché il sacrificio dei pinguini si svolge con una semplicità tremenda, senza rivolta alcuna, senza gridi o tormenti, nella certezza che solo in questo nodo buio di tempo può realizzarsi ancora una volta lo schizzare in avanti della vita.
   Poi, finalmente, si riaffaccia all'orizzonte il sole della primavera, e allora si schiudono nella pancia dei maschi le uova autunnali e spuntano le testine curiose dei neonati nella luce radente e nelle staffilate di vento del nuovo anno. I maschi, digiuni da centoventi giorni e quasi sul punto di morire, spalancano il lungo becco e lasciano perlustrare ai piccoli il loro stomaco raggrinzito alla ricerca dei pochi succhi che possano nutrirli fino all'arrivo delle madri.
   Ed eccole che arrivano le mamme spensierate dal loro luogo di soggiorno invernale e di lauti pasti, arrivano caracollanti per il grasso nel frattempo accumulato, ciaccolanti e frivole, e sembra che portino con sé le borse della spesa e qualche masserizia. Arrivano appena in tempo, ma senza fretta. Si svolge il rito dei riconoscimento delle coppie, e ogni femmina dritta di fronte al maschio si prende subito cura del piccolo facendogli mangiare dal profondo del suo gozzo ricche poltiglie di cibo predigerito. Si rilassano, infine, i maschi e quelli più forti trovano le ultime energie per tornare a nutrirsi. Il sole è più alto all'orizzonte.

 


 
Inizio