Indice L'area di Broca
 
L'Area di Broca
Indice n.73-74
 

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"L'area di Broca", XXVIII, 73-74, 2001

TERRA

 

Gabriella Maleti

Quello che la terra sostiene
 

Colei che scrive. Per caso, per vocazione. Che ha tra le mani la mirabile forma di una matita. Che vorrebbe raccontare, scrivendo, la forma e la pezzatura della terra che conosce meglio. Un pezzo di terra che s'unisce all'altra terra, dove lei nell'infanzia ha rovistato meglio, osservando più a lungo ogni cosa, e da sempre s'è detta congiunta ad essa. Sarebbe facile, pensa, in questa ariosa mattina, moderatamente estiva, descrivere quella porzione di terra, le sue condizioni di vita attraverso i mesi e anche attraverso gli odorosi, come i fiori, che sono fiori. Ma succede che l'intervallo tra il ricordo e il presente finisca presto, e nella mente di chi scrive continuino le immagini di ciò che ormai abitualmente vede.
   La terra sostiene una panchina di legno del piccolo parco rionale, e la panchina, sostenuta dalla terra, il corpo di un uomo prono, lungo tirato, coperto da un telo scuro. Gli fuoriescono i piedi la cui pianta è nera come carbone. Il bianco delle caviglie risalta opaco e quasi innaturale. A terra, accanto all'addormentato, un paio di scarpe. Sta col telo fin sulla testa. Il braccio destro è allungato giù, e un dito, quello medio, tocca quasi il terreno. Non fosse per i piedi, per il braccio e per le scarpe potrebbe dirsi un enorme pesce nero. Morto.
   Da tempo è cambiato questo luogo. Si ferma gente straniera dai volti scuri, assenti o vividamente malinconici. I filippini arrivano minuscoli con la famiglia, mangiano sui tavoli di legno del parco e i loro figli, in altalena, hanno gridi simili a quelli di tutti i bambini in altalena. Gli albanesi straziati bevono innumerevoli lattine di birra da due soldi (a volte qualcuno di loro gira a piedi nudi tra gli alberi con una di queste in mano. Non si sa dove intenda andare). Poi lasciano quelle lattine a terra o sui tavoli di legno per pic-nic. Si capisce che spesso si sono intestarditi su cartoni di vino dozzinale, nero o bianco. Anche questi cartoni, numerosi, sono a terra e stonano.
   Poi, e così, questi uomini dormono. Avvolti in trapunte fantasia, dai colori assurdamente sereni come gli azzurri d'un cielo, o in teli chiari, o in coperte scure. Se ne stanno stesi sui tavoli di legno del parco, altri sono ai bordi delle siepi, a terra, un po' nascosti, su dei cartoni. Dalla coperta spunta a volte solo la fronte o, girati su un fianco, mostrano gli occhi chiusi e la linea del naso. I capelli sono scurissimi. Volendo, una interminabile spossatezza mi farebbe crollare su una panca vuota a fissare un punto. Il niente. Se vi sono domande (e ve ne sono), non c'è alcuna risposta. La vita scorre pesante, scorre leggera. La terra sostiene ciò che deve sostenere, unica cosciente. Il mio cane, nel parchetto, si avvicina un poco ad uno di quei fagotti, annusa e poi viene via. I beni del dormiente sono in un carrello del supermercato lì accanto: una borsa frusta un po' gonfia, un'altra di plastica, scarpe malandate da trekking, due calzini, spaghi.
   Già da tempo mi chiedo, con tutti questi fagotti in giro, che cosa debba scrivere, e se la parola, in qualche modo, aiuti, salvi. Da cosa e come e perché. A cosa servirà dilungarmi nei pensieri, nella convinzione dei ruoli, nelle associazioni delle parole, nei compiti che paiono assegnati?
   Stamani alle sette si vede un fagotto insediatosi tra le corde di un gioco per bambini: è un ponte sospeso tra due fortini di legno. La rete è sollevata di circa un metro e mezzo dal suolo. Colpo di genio del fagotto, il quale penzola da lì dentro come su un'amaca. È immobile e coperto da un lenzuolo bianco. Sotto di lui, sul terreno, riposa una borsa blu da calciatore in trasferta. È un uomo che si fida. Un altro fagotto è dietro ad una siepe, avvolto in un telo marrone. Vicinissima a lui una bicicletta sgangherata appoggiata al sempreverde. Una mano sporge da sotto il telo e stringe una corda che a sua volta è legata a un cerchione della bicicletta. Si è addormentato così, tenendo al laccio un tesoro. Quest'uomo si fida meno. Ma niente funziona. Lo si capisce maggiormente aggirandosi tra i fagotti. Allora con ansia si richiama il cane, tanto per fare qualcosa. I tigli sono verdi e così i cipressi. La terra sostiene il nostro peso, le nostre orme. Uno dei fagotti, steso all'interno del campetto di calcio e colpito da un raggio di sole, si muove, si scosta la coperta dal viso e alza il capo. Mi vede e torna repentinamente a coprirsi. Mi allontano velocemente col cane che mi precede. Ho fatto in tempo a vedere un paio d'occhi scuri, poi il movimento di chi si vergogna. La terra attorno è chiazzata d'erba. Zone completamente brulle si alternano ad altre verdi. I tigli sono tanto allargati, e molti rami si piegano ad altezza d'uomo. In questa stagione è ancora tutto fresco e le foglie appaiono ampie e ben pasciute di nerbo, di acqua. I fagotti si svegliano con le ossa rotte sotto a questi alberi, si infilano le scarpe, si chiedono cosa cristo faranno durante la giornata.
   "Non puoi fare il chierichetto, sei una bambina. Le bambine non sono ammesse". Risento nelle orecchie questa frase. Perché ora e proprio qui? Non lo so. È mia madre che l'ha detta. Continua: "Però ti posso dire una cosa: tu, all'età di quattro anni, hai recitato un sermone nella chiesa del nostro paese, e la chiesa era piena di gente. Piena". Io? Vedo mia madre annuire orgogliosa. Ho fatto davvero tanto? E proprio quello che oggi rifuggo? Ora, mentre richiamo il cane, penso alla nostra storia di "immigrati". Dall'Emilia a Milano, per campare. Anche noi, padre, madre e figlia, per certi versi, fagotti viaggianti. È ormai una voce non voce quella di mia madre. Qualcosa di sonoramente muto. Poi le campane del Carmine suonano. Qualche uccello canta, vola. "Sono stanca", penso. Il mio cane annusa la terra, poi con le zampe posteriori raschia il terreno sotto e dietro a lui, che lo sostiene. Si alza una polvere che nel controluce sembra oro. Ci sono, abbandonate dappertutto, bottiglie di plastica, cartoni deformi di vino rosso e bianco, pacchetti vuoti di sigarette, lattine di birra. Tutto vuoto. Lanciato. Lasciato cadere. E stanno ancora nei loro bozzoli, i fagotti. Che siano loro, i fratelli, i veri rappresentanti di Cristo in terra?
 


 
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