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L'Area di Broca
Indice n.73-74
 

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"L'area di Broca", XXVIII, 73-74, 2001

TERRA

 

Vilma Baricalla

Terra, uomo, creazione nella visione biblica
 

Già nei racconti della creazione riportati dalla Genesi è evidenziato l'intimo legame che unisce l'uomo con la terra. Se nel testo sacerdotale una terra - per ordine di Dio rigogliosa di "verdura", "erbe" ed "alberi fruttiferi" - accoglie animali e uomini alla loro creazione, un rapporto ancora più stretto emerge dal racconto jahwista, dove la terra, ancora arida e spoglia, attende l'uomo per essere coltivata: "Non c'era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna, e nessuna erba della campagna era ancora spuntata, perché l'Eterno Iddio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, e non c'era alcun uomo per coltivare il suolo" (Gen. 2, 5).
   Tra l'uomo e la terra v'è una relazione costitutiva che emerge dalla stessa etimologia: "adam" è il nome dell'uomo, "adamah" quello della terra. L'uomo è plasmato con il fango della terra (Gen. 2, 7) e deve prendersi cura della terra. Egli riceve l'incarico di "coltivare" ("abad") e "custodire" ("Samar") il giardino che Dio ha piantato in Eden (Gen. 2, 15).
   I verbi usati, "abad " e "Samar ", hanno un profondo significato religioso: l'uno si riferisce anche al servizio del culto e ai rapporti con Dio; l'altro vale anche ad indicare la fedeltà a Dio e l'osservanza della Legge. Ciò conferisce, all'incarico dato all'uomo, un carattere religioso. Come un sacerdote all'interno del tempio, l'uomo deve coltivare e custodire il giardino che Dio gli ha affidato, salvaguardandone l'ordine e l'integrità. Egli è il custode della creazione di fronte a Dio (cfr. anche Gen. 1, 28).
   L'uomo può godere di una terra ricca di frutti. Nel primo racconto della Genesi si narra come Dio, che a tutti provvede, diede a uomini e animali il loro nutrimento: gli alberi e le piante che hanno seme per l'uomo; i verdi erbaggi per gli animali, gli uccelli, i rettili della campagna (Gen. 1, 29-30). Esclusivamente dalla terra proviene il cibo della prima creazione. È il cibo benedetto di un mondo pacifico e vegetariano.
   Questo rapporto di armonia tra le creature viene sconvolto dal peccato. L'uomo trasgredisce l'ordine divino e sostituisce il suo progetto alternativo alle regole stabilite da Dio.
   A causa del peccato Adamo è cacciato dal giardino di Eden.
   Il rapporto con la terra, prima simbolo della generazione, ricorderà ora all'uomo la sua mortalità: "Poiché tu sei polvere e nella polvere ritornerai" (Gen. 3, 19). Il riferimento alla polvere della terra diviene, in questo senso, espressione di creaturalità, di ridimensionamento dell'uomo, che deve essere riportato al senso dei suoi limiti: "la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono quelli, muoiono queste [...] tutt'e due sono usciti dalla polvere e tutt'e due ritornano nella polvere" scriverà il Qohelet (Qo. 3, 19-20). Con la polvere verrà fatta penitenza (Giob. 42, 6).
   Con il peccato e la punizione divina, inoltre, il rapporto dell'uomo con la terra risulta capovolto; se prima la terra era bisognosa dell'uomo, ora sarà l'uomo a dover dipendere dal lavoro della terra, divenuta ostile e ribelle: "la terra sarà maledetta per causa tua; con lavoro faticoso ricaverai da quella il tuo nutrimento per tutti i giorni della tua vita, essa ti produrrà spine e triboli" (Gen. 3, 17-18); "col sudor della tua fronte mangerai il pane" (Gen. 3, 19). Dio rende arida la terra per punire l'uomo. Successivamente, nel Deuteronomio, le condizioni agricole del suolo e l'erogazione della pioggia dipenderanno dalla bontà o meno del rapporto umano con Dio (Deut. 11, 13-17).
   La terra è strumento di premio o di castigo, ma è anche "corrotta" e contaminata dal male (Gen. 6, 11-12). Per tale motivo Dio decide di distruggerla col diluvio (Gen. 6, 13), e per tale ragione l'intero creato paga le conseguenze delle colpe umane. Per Osea la violenza, la frode, la disonestà, che dilagano nel modo degli uomini, comportano il "lutto" della terra e la morìa degli animali (Os. 4, 2-3).
   Elemento costitutivo della creazione, la terra prende parte alle vicende del mondo. Essa è travolta dalla perdizione, ma è altresì parte essenziale della prospettiva salvifica.
   Così una terra "stillante latte e miele" (Es. 33, 3), ricca di fonti e acque zampillanti, capace di produrre orzo, vigne, fichi, olivi e melograni e dove l'uomo non avrà il pane misurato (Deut. 8, 7-9) è la promessa di Dio al popolo, uscito dall'Egitto.
   E tuttavia, se Dio dà la terra all'uomo da coltivare, impone anche di rispettarla. Nei precetti legati all'istituzione del Sabato, l'astensione dal lavoro dei campi e il rispetto della terra divengono un tramite fondamentale dell'itinerario di salvezza. "Ricordati del giorno del riposo, per santificarlo. Per sei giorni lavorerai e attenderai alle opere tue, ma il giorno settimo è giorno di riposo per il Signore, Iddio tuo; non fare in quello alcun lavoro, né tuo figlio, né tua figlia; né il tuo servo, né la tua serva, o il tuo bestiame, o il forestiero, che è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni il Signore fece il cielo e la terra e il mare e tutto quello che essi contengono, ma il settimo giorno si riposò: per questo il Signore benedisse il giorno di sabato e lo santificò" (Es. 20, 8-11). Così recita il precetto del Decalogo, che fa risalire l'istituzione del Sabato al settimo giorno della creazione.
   Ma, per la liturgia sacerdotale, il settimo è un giorno speciale. Benedetto e santificato da Dio (Gen. 2, 3), esso rappresenta il compimento dell'opera divina e scompare in esso la dimensione del tempo. A differenza delle precedenti giornate dell'attività creativa, nelle quali era scandito il succedersi dei giorni, nei versetti dedicati al sabato non si fa cenno al calar della sera. Il settimo giorno si apre dunque, come scrive Moltmann, ad un "tempo eterno"(1) e la festività sabbatica rappresenta anche un "sogno messianico"(2), la preparazione ad un futuro in cui il Sabato durerà in eterno.
   E così, in onore del riposo di Dio, nel giorno di sabato uomini e animali si asterranno da ogni attività lavorativa. È un giorno di preghiera e di contemplazione; e un Sabato speciale è dedicato alla terra: "abbia la terra il suo sabato in onore del Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo [...] . Ma il settimo anno sarà riposo completo, riposo per la terra, riposo in onore del Signore" (Lev. 25, 2-4). Nell'anno sabbatico non si seminerà, né si mieterà, non si poterà la vigna e non si vendemmierà. L'alimentazione è garantita da Dio: uomini e animali si ciberanno del raccolto degli anni precedenti (Lev. 25, 21-22) e dei prodotti spontanei della terra. Sono prescrizioni finalizzate a non impoverire il suolo, ma ispirate anche al rispetto della terra, riconosciuta come creatura di Dio.
   Norme di solidarietà e carità regolano inoltre, nelle festività sabbatiche, i rapporti tra le creature. Dio ha fatto germogliare la terra per tutti, anche per i poveri e i diseredati, e per gli animali, selvaggi e domestici. E così, negli anni sabbatici, dei prodotti spontanei del suolo potranno usufruire tutti: proprietari, servi e forestieri, e così pure gli animali domestici (Lev. 25, 6-7); ma saranno soprattutto i poveri e gli animali della campagna che potranno avere dalla terra il loro nutrimento (Es. 23, 11). È il ripristino della pace e dell'armonia tra le creature. È l'equa partecipazione degli uomini e del creato al godimento dei doni del Creatore. Egli è colui che fa crescere l'erba per i giumenti e i foraggi al servizio dell'uomo (Sal. 104, 14), che rende fertile la terra (Sal. 65, 10-14) e che provvede cibo alla sua creazione (Gen. 1, 29-30; Sal. 104, 27; Mt. 6, 26).
   A princìpi di una maggiore giustizia tra gli uomini si ispira poi, ogni sette anni sabbatici, la legislazione dell'anno giubilare: essa prevede, favorendo i più poveri, il riscatto delle terre perdute (Lev. 25, 24-28). Nessuno può accampare sulla terra un diritto di proprietà perenne. La terra, infatti, è proprietà di Dio e l'uomo, su di essa, è solo ospite e forestiero (Lev. 25, 23).
   Elemento basilare con cui uomini e animali sono stati plasmati, madre della vegetazione e nutrice di viventi, la terra ha dunque un ruolo essenziale. Il suo riscatto è fondamentale per la redenzione del creato e il suo coinvolgimento testimonia la portata cosmica della salvezza.
   Del resto un "patto" di Dio con la terra (Gen. 9, 13) e "con tutte le bestie della terra" e con "ogni specie di animali terrestri" (Gen. 9, 10.17) apre, dopo il diluvio, una speranza per l'intera creazione.
   In una preghiera ebraica, l'Amidà, si chiede a Dio di trasformare nuovamente il mondo in Paradiso, di ripristinare l'Eden "alla fine dei giorni"(3). Per la visione biblica si prospetta così, alla fine dei tempi, la festa della creazione, un mondo in cui il lupo e l'agnello coabiteranno e la vacca e l'orso pascoleranno insieme (Is. 11, 6-7); e la terra, liberata dal male, provvederà i suoi frutti secondo l'ordine divino (Gen. 1, 11).

(1) J. Moltmann, Dio nella creazione, trad. di D. Pezzetta, Queriniana, Brescia, 1986, p.323.
(2) D. Fink, Il sabato e l'anno sabbatico, in E. Bernstein (a cura di), Ecologia ed ebraismo, trad. di M. Freddi, Giuntina, Firenze, 2000, p.130.
(3) L. Troster, "Nella tua bontà rinnovi la creazione": cicli della creazione nella liturgia ebraica, in E. Bernstein (a cura di), Ecologia ed ebraismo, cit., p.119.


 
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