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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Marco Simonelli: "Non ha né un compito..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Non ha né un compito specifico né uno scopo prestabilito: si tratta di un bene immateriale e antieconomico considerato allo stesso tempo primario e superfluo. Questa contraddizione, insieme a una quasi assenza di mercato, garantisce una libertà assoluta a tratti paralizzante. Refrattaria a qualsiasi tipo di amministrazione, la poesia continua ad esistere da millenni mutando forma, contenuti e mezzi di trasmissione. E' possibile, a posteriori, analizzarne alcuni aspetti con specifici strumenti e trarne considerazioni di natura storica, filosofica o civile. E' anche possibile farne un uso personale o utilitaristico: nessuna legge lo vieta. Ma al di là delle applicazioni (legittime o meno) che si possono escogitare, la poesia va fondamentalmente letta: poco importa se si tratta di una lettura ad alta voce o silenziosa. E' il modo più efficace per verificare la necessità di un testo. Per penetrarlo e farsi da esso penetrare. Per goderne.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Credo che il cambiamento più eclatante sia quello relativo ai mezzi di trasmissione del testo. In linea di massima, alla fine degli anni Sessanta e fino alla fine degli anni Novanta la diffusione dei testi era essenzialmente libresca, cartacea, affidata a riviste o ciclostilati. Il libro venduto in libreria era il mezzo di diffusione più prestigioso. La poesia sonora e la poesia visiva, nonostante celebri esponenti, erano categorie d’avanguardia destinate ad un pubblico limitato. Dall’inizio degli anni Duemila, col proliferare della rete, le riviste sono scomparse, sostituite dai lit-blog. L’immediatezza dell’era telematica ha permesso a poeti di diverse tendenze di incontrarsi e formare gruppi, organizzare eventi e convegni. Poetry slam, performance poetry e spoken word sono solo alcune delle categorie con cui oggi si identifica la resa fonica della scrittura. Molte delle sperimentazioni visive, verbovisive, telematiche e concettuali di questi anni sono esemplificate in rete, facilmente raggiungibili e accessibili. Il libro rimane ancora traguardo prestigioso ma la sua promozione e diffusione avviene principalmente online. Sono mutati anche gli strumenti con cui si compongono i testi: l’era digitale ha certamente snellito i tempi di elaborazione e pubblicazione, le proposte sono aumentate in maniera esponenziale, non sempre a discapito della qualità.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Non è affatto semplice, anche perché molti autori oggi utilizzano la prosa (narrativa e non, ritmica e non) come risultato di una riflessione critica sulle forme della scrittura. Anche la scrittura in versi molto spesso tende a lambire la prosa, in alcuni casi cercando una precisa ibridazione con la narrativa. Per quanto riguarda il mio personale metodo di lavoro, lo strumento che utilizzo più frequentemente è la voce: fonetizzando un testo posso cogliere immediatamente la presenza o meno di regolarità metriche e prosodiche, posso percepire ritmi fissi o irregolari, posso farmi un’idea della grammatura testuale. Anche l’assenza di questi elementi può essere rilevante. Più in generale, direi che il linguaggio della poesia (sia in versi che in prosa) instaura un colloquio più o meno risolto col concetto di forma.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

In molti casi il testo poetico nasce in una fase precedente alla scrittura (sia calligrafica che digitale): un testo poetico viene prima composto, vale a dire assemblato (spesso sillaba dopo sillaba) all’interno di un processo mentale in cui le possibilità espressive sono ancora potenziali. La scrittura (cioè il fissaggio del verso o della strofa su supporto) ha il compito di stabilire una rotta fra le possibili, agevolando la successiva navigazione. Quando un testo raggiunge una stesura più o meno definitiva, interviene l’oralità: da circa quindici anni frequento un laboratorio di scrittura e quindi ho la fortuna di poter leggere i miei testi di fronte a un piccolo gruppo di lettori attenti, affezionati e allo stesso tempo critici. Se il testo non supera la prova dell’oralità, la rielaborazione diventa un processo plurale fatto di suggerimenti, consigli e scrittura collettiva. L’intervento altrui non scalfisce la patria potestà di un testo, semmai la rafforza. Una volta terminato il processo, il testo viene archiviato. Farà parte di una compagine? Di un macrotesto? Finché non viene delineato un progetto organico, tutte le possibilità sono aperte, compreso il cestino.

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Devo premettere che negli anni ho avuto occasione di conoscere sia un poeta spacciatore che un poeta pornografo. In entrambi i casi la loro scrittura veniva corroborata dalle loro attività collaterali. La fauna poetica italiana può essere tanto variopinta quanto surreale. Credo sia essenziale non dimenticarlo, soprattutto parlando di status del poeta. In pubblico si è poeti una manciata di volte all’anno durante letture o presentazioni. Poi possiamo tranquillamente tornare in clandestinità. Non sempre è un male. Nella vita quotidiana il poeta si occupa d’altro. Ritaglia dalla giornata il tempo per lavorare alla sua lingua. Che sia un recluso o un pr, poco incide sulla qualità dell’opera. La brutale ma necessaria verità è che il lavoro del poeta, a differenza di spacciatore e pornografo, non genera proventi economici. La società capitalistica non solo non sa che farsene di tale figura ma ne prova imbarazzo se non ribrezzo. Non che altrove le cose fossero migliori: Brodskij docet. Mi chiedo poi se un poeta debba o meno avere uno status sociale riconosciuto. A quale fine? Mi pare improbabile che la poesia influenzi una massa. Credo anche che l’irrilevanza sociale non intacchi la validità delle opere. Cosa accadrebbe poi se all’improvviso la scrittura poetica fosse valutata in termini economici, magari un tanto a strofa? Certo, lo status del poeta aumenterebbe di prestigio ma avremmo poi tutta la libertà di ricerca e di espressione di cui godiamo adesso?

[Marco Simonelli]