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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Marco Giovenale: "Sembra che - forse..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Sembra che – forse per gli effetti di sovraesposizione dell’io capillarmente introiettati dai miliardi di utenti della rete – una funzione o 'funzionalità' confessional o di soddisfazione di esigenze narcisistiche sia in grado di assumere un ruolo primario nei vari contesti "di poesia" (se poesia è) che si moltiplicano da quasi vent’anni a questa parte.
   Si potrà legittimamente invocare qualche anatema sulla situazione, senza però alcun potere di cambiarla. Il ruolo sociale del poeta è tanto più trasparente anzi invisibile quanto più l’ostinazione orientata al palco dell’ego e alla 'parola pubblica' (oppure 'pubblicamente intima') si fa nel poeta compulsiva, e sintomo spesso di una comica patologia spettacolare, barocca, dannunziana. In competizione coi romanzieri dei sentimenti (o della società), o con non meno sentimentali cantautori.
   La dominanza dell’io sul soggetto (dell’inconscio) è cosa verificabile, evidente, nonostante le eccezioni che hanno comunque illuminato la seconda metà del Novecento e che continuano a operare (Emilio Villa, Amelia Rosselli, Corrado Costa, Carmelo Bene, Magdalo Mussio).

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

La poesia in quanto versificazione sembra essere cambiata o meglio ancora orientata in parte secondo le indicazioni date da Testa nell’antologia Dopo la lirica (Einaudi, 2005), in parte secondo le aperture e partizioni suggerite dai curatori di Parola plurale (Sossella, 2005), in parte secondo l’oscillazione pendolare orfismo versus scrittura materialistica, in parte secondo un più recente e insistito ricorso epigonale al guscio formale della (altrimenti straordinaria) lezione di Sereni e Fortini: ricorso che sembra minacciare più che arricchire la produzione di autori che esordiscono negli anni recentissimi. Non che queste quattro direzioni di (non) cambiamento esauriscano il complesso gomitolo del poetico e del poetese, ma ne inquadrano una percentuale alta.
   Un fenomeno che ha interessato poi l’editoria maggiore e media o medio-grande di poesia (si direbbe più in quest’ultimo decennio che prima) è l’apertura di credito verso autori completamente privi di altro talento che non sia la limpidezza (=vendibilità?) del dettato. La grande distribuzione, quella che fa arrivare la poesia sugli scaffali delle librerie soprattutto 'generaliste', retroagisce sulle scelte dei curatori di collana? Forse addirittura sulle scritture medesime degli autori.
   Si è assistito inoltre a un pressoché generale abbassamento del livello di percezione dell’intollerabilità delle case editrici a pagamento. Alcune medie e perfino grandi case editrici hanno sfacciatamente inaugurato un giardino o più nicchie di autori non solo paganti, ma desiderosi di pagare.
   Talvolta le stesse case editrici non a pagamento hanno promosso e distribuito il peggio della liricheria giovanile contemporanea, ossia autori che fino a una manciata di anni or sono (quando a suggerire sommessamente alcune scelte erano intellettuali e poeti del calibro di Giuliano Mesa per esempio) non sarebbero entrati nemmeno per sbaglio in un catalogo di poesia degno.
   Infine.
   Talune infelici vicende biografiche di una parte significativa del drappello di scrittori definibili sperimentali, tra la fine degli anni '80 e tutti gli anni '90, hanno tenuto sotto il filo della visibilità e della distribuzione o anche solo della diffusione una quantità di opere e autori e iniziative lodevoli. Vero è che proprio perché sono venuti a mancare alcuni attori forti del panorama (due nomi su tutti: Adriano Spatola e Corrado Costa) talvolta si è constatato che resistevano e rimanevano in funzione iniziative, riviste e anche autori non in grado di sostenere il peso di un movimento largo di scritture; cosa che al contrario non accadeva in Francia e in altri paesi del mondo. A questo si aggiunga il potere editoriale della controriforma poetica, della "re-poésie" (citando Jean-Marie Gleize): riflusso strutturatosi già a partire dagli anni '70. Ossia il potente intervento – dal punto di vista economico e distributivo – delle case editrici maggiori a favore di una scrittura orientata secondo gli assi già indicati, principalmente sereniani direi, e quindi irriducibilmente ostili a ogni eredità che venisse dalle aree della ricerca.
   Nonostante il quadro non idilliaco, la poesia dell’ultimo mezzo secolo sta facendo i conti, da oltre un quindicennio in Italia e da molto prima in altri paesi del mondo, anche con una crescita esponenziale di autori e testi definibili (secondo un’espressione criticabile ora utile) "di ricerca". Si avviano nuove case editrici o nuove collane. Si moltiplicano i codici che interagiscono con la versificazione. Si sottrae a quest’ultima una posizione di centralità nell’insieme delle pratiche raccolte sotto l’etichetta "poesia". Si parla a volte, addirittura, di post-poesia (ancora Gleize). Lo stesso versante dell’oralità si fraziona in più campi, alcuni dei quali riguardano in maniera diretta anche gli autori che privilegiano pratiche testuali "installative" rispetto a quelle propriamente performative (per le quali, come si vede, le virgolette sono superflue).
   Il contesto è insomma fluido. E va finalmente riducendosi il dislivello tra scritture contemporanee e arte contemporanea.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Distinguerei i linguaggi delle scritture (e, tra queste, delle molte aree della poesia) dal linguaggio dei poeti. Soprattutto, trovo 'fantasmatiche' certe pratiche e idioletti - per i quali rimando ad altro mio intervento (vedi).
   In ogni caso, un buon elemento per percorrere i territori delle nuove scritture, mi sembra essere non l’identificabilità (derivabile da un’idea di "stile individuale" riconoscibile) né l’anonimo neocrepuscolarismo o minimalismo che si segnala per abbassamenti lessicali (che però ovviamente non rinunciano ai loro picchi di memorabilia, lezioni di vita et alia) né la trasposizione in canzone della fissazione novecentesca per l’oro fonosemantico (rima, callida iunctura, ritmi, assonanze, dissonanze); semmai il lavoro opposto, di disidentificazione, che molti autori svolgono strappando al linguaggio stesso e poi alla scrittura i "bibelots" poetici (Christophe Hanna, Poesia azione diretta -
vedi).

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

Forse va detto che ogni autore ha il suo "come". E l’ampiezza degli esperimenti (o degli epigonismi) non cristallizza un’unica definizione o modalità.
   Non è tuttavia una novità: è il linguaggio umano a funzionare, prima ancora, da fautore di disordini categoriali. Per fortuna.

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Credo che al momento non saprei rispondere meglio di come ha fatto Guido Mazzoni nel suo saggio Sulla storia sociale della poesia contemporanea in Italia (vedi). Forse aggiungerei un’annotazione personale sul ruolo delle case editrici e della distribuzione generalista (e dei poteri politici legati all’editoria) negli ultimi decenni. Ma per questo ci sarà, forse, tempo.

[Marco Giovenale]