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La casina
di Alessandro Franci
 
La chiamavano "La Casina" non tanto per le dimensioni che erano sì modeste, ma non certo così piccole, quanto per abitudine; infatti il diminutivo doveva derivare da una di quelle lontane e poco chiare ragioni tramandate nei paesi poi come grandi certezze: certe sentenze hanno vita secolare, il tempo le scalfisce appena, tanto che la loro solida vernice resta indelebile per innumerevoli stagioni.
  Era un luogo di appuntamenti, un punto di riferimento indispensabile come in mare lo sono i fari o certi scogli indicati sulle carte.
  Quando partivano per la caccia s'incontravano lì davanti, arrivavano che non era giorno, poggiavano i fucili al muretto della casina, si sedevano e se ne stavano a parlottare sommessamente fumando in attesa degli altri.
  Non si sa chi abitasse quella casa e che vita avessero quei volti visibili a volte oltre le tende bianche dei vetri: sicuramente erano conosciuti in paese, e qualcuno di certo sapeva i loro nomi.
  Adesso da anni è disabitata, deturpata dall'abbandono, infragilita, covo di serpi e di erbacce, e proprio ora che dalle altre si distingue nessuno la nomina più; molti sembra che l'abbiano dimenticata.
 
(da Delitti marginali, Gazebo, Firenze, 1994. © dell'autore.)
 

 

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