Indice L'area di Broca
 
L'Area di Broca
Indice n.71-72
 

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"L'area di Broca", XXVII, 71-72, 2000

SCRITTURA E (E') POTERE(?)

 

Alessandro Franci

Foschie
 

"È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio." Inizia così L'arte di tacere dell'abate Dinouart; proprio subito dopo l'introduzione, nel primo capitolo (parte prima) che ha per tema: principi necessari per tacere.
   È in effetti una sfida. Una sfida impari, io credo, da accettare solo per così dire, con leale sentimento sportivo; senza la protervia, insomma, di anelare la vittoria. Cosa che personalmente ho ben chiara. Quindi anch'io vergognosamente disobbedisco al buon Dinouart, del quale condivido peraltro oltre che l'esordio citato, più o meno tutto il resto, compreso sostanza e spirito propri del piccolo ma denso volumetto. Perciò, anche se non mi sarà perdonata questa leggerezza, continuerò, e potrò farlo solo, evidentemente, contraddicendomi.
   Dunque accadde il 31 luglio di sette anni fa, al mare; un pomeriggio caldo. Non volevo sudare sulla spiaggia e neppure in casa. Passeggiai allora lungo il corso deserto, in direzione dell'uscita dal paese che mi ospitava, cercando rifugio nella sobria escursione, attorniato da un'atmosfera somigliante, o comunque non proprio lontana da un'idea di silenzio; per quanto neppure confrontabile con quella suggerita dal caro Abate. Guardavo in fondo alle strade che digradavano verso la spiaggia, il mare fermo; l'acqua scintillante. E a tratti credetti di riconoscere, nelle caligini sull'orizzonte del Tirreno, la stessa luce descritta dalla Duras: quella dell'Oceano davanti alle coste inglesi, alla foce della Senna; o l'altra di uno dei bracci del Mekong, tra Vinhlong e Sadec. Più avanti poi, in fondo ad altre strade, in piccoli rettangoli di acqua azzurra, si illuminò improvvisamente il finale de Il male oscuro, con il "faro bianco di Punta Faro" raccontato da Berto nell'ultima pagina del suo capolavoro.
   Proseguii ancora per il lungo viale, sempre osservando il mare, il bagliore dei riflessi; poi davanti a me, alla fine del corso arroventato, una piazza. In mezzo alla piazza svaporava qualcosa di indistinto; cercai, chiudendo a fessura gli occhi, di capire meglio cosa avrei trovato laggiù, come fossi di pattuglia - novello ufficiale - in un fortino o in una ridotta, davanti a sterminati deserti. Prima ancora di arrivare nella piazza, però, ciò che fluttuava nella calura si fermò: una bancarella sovrastata da teli bianchi che gettavano ombre blu sull'asfalto; libri. Mi avvicinai incuriosito e meravigliato di trovare lì, nella piazza di un borgo marino, in piena estate sotto il sole incandescente, proprio una bancarella di libri.
   Affrettai il passo e in breve fui sotto le tele candide. Di là dal banco di legno, seduto su una sdraio come quelle usate in spiaggia, c'era un uomo pigro, calvo, intento a decifrare un rebus della Settimana Enigmistica che teneva ben piegata tra le mani. Mi guardò un istante; io contraccambiai non so cosa, con un cenno vago della testa, senza neppure attribuire un significato al mio movimento.
   Manuali di cucina e giardinaggio, bricolage, la storia delle armi da fuoco e oroscopi; poi più lontano la letteratura classica di tutto il mondo, la scultura greca e miscellanea sfatta, disordinata, ammassata turpemente. Fu tra questo sterminio di pagine schiuse e gualcite che vidi L'arte di tacere, Sellerio Editore, Palermo ottobre 1991.
   Mi attrasse il titolo e il fatto che, per insegnare tale arte fosse necessario (ovviamente) parlare, o in quel caso preciso, scrivere. Sollevai il libro dal mucchio, come a decontaminarlo, preservarlo dagli altri, quasi sospettassi il contagio. Al tatto ne calcolai il giusto peso; la porosità della copertina di un tenue verde, poi, mi vinse definitivamente: soltanto per il titolo, il peso e la porosità, avevo già deciso di comprarlo. Però lo annusai: lo aprii a metà e tuffai il naso tra le pagine; l'odore confermò che la scelta dell'acquisto era giusta.
   (Vogliate, Vi prego Abate Dinouart, scusare il mio stolido avvicinamento al Vostro nobile saggio, ma spero apprezzerete almeno, nella circostanza appena descritta, l'attenzione, anche se all'inizio solo visiva, tattile e olfattiva, da me palesata nei confronti dell'opera Vostra indegnamente costretta in sì trista promiscuità.)
   Cercai di attirare l'attenzione dell'uomo seduto sulla sdraio, per manifestargli chiaramente la mia intenzione di acquistare il libro, ma quello sembrava troppo preso dai cruciverba, allora mi distrassi, aprii a caso il volumetto, trovandomi subito sotto gli occhi quella sorta di precetto. Dopo sbirciai ancora tra le belle pagine chiare e spesse, così seppi che l'abate Dinouart, in verità si chiamava Joseph Antoine Toussaint Dinouart e che era nato ad Amiens nel 1716; che in vita sua aveva scritto tanto, forse troppo, e anche su argomenti sopra i quali avrebbe potuto sorvolare, come ad esempio, citato nelle note: "Il trionfo del sesso" che malgrado pubblicato anonimo, gli causò uno screzio con il vescovo di Amiens. Lo strano è che ne L'arte di tacere Dinouart afferma: "Si scrive su argomenti che bisognerebbe evitare quando non se ne ha il compito..." (Capitolo secondo, dal titolo: Si scrive troppo).
   Finalmente l'uomo dei rebus notò la mia presenza e soprattutto la mia volontà di acquistare qualcosa; inaspettatamente si alzò dalla sdraio quasi con destrezza atletica, ma proprio in quell'istante comparve sulla copertina di un libro seminascosto tra gli altri, la scritta: Divertimento 1889. Feci spazio nel mucchio e lo salvai: Guido Morselli Divertimento 1889.
   L'uomo atletico si interessò abilmente a dei libri ammassati in modo confuso, iniziando a riordinarli, in attesa che mi decidessi ad acquistare anche quello; di tanto in tanto mi lanciava un'occhiata e probabilmente, nello stesso momento, pensava ad un incrocio che gli avrebbe permesso di ultimare un difficile Bartezzaghi, o qualcosa di altrettanto duro. Non lo feci aspettare molto, glieli porsi entrambi e attesi il conto: economico, neppure diecimila lire. Presi i libri e mi avvicinai ad una panchina in pieno sole, sulla quale sarei stato malissimo, già lo sapevo, ma c'era qualcosa che mi spingeva ad un'indagine che dovevo iniziare subito.
   Non l'avevo soppesato e neppure aperto il libro di Morselli; l'avevo comprato e basta. Era un libro malconcio, da scartare; eppure io senza esitare l'avevo comprato. In alto la copertina era persino lacerata da un corpo tagliente che, presumibilmente nella fase di stivaggio in qualche scatolone, aveva premuto contro lo sfortunato volume. Le pagine erano ingiallite da un precoce invecchiamento (l'edizione dei Tascabili Bompiani era del 1982).
   Mi sedetti davanti al mare, con i due libri in mano senza sapere cosa avrei dovuto fare. Li tenevo semplicemente con me, senza aprirli, senza neppure guardarli; se non ricordo male.
   Il mio abbigliamento d'improvviso mi parve inadatto, così stupidamente sgargiante; irriverente. Sudavo sotto il sole a picco l'ultimo giorno di luglio del '93, davanti al mare Oceano e Mediterraneo insieme.
   Soltanto dopo un po' lessi; presi il libro dalle pagine ingiallite, lo aprii e lessi: Di ritorno da una breve villeggiatura a Macugnaga, Morselli trovò respinte due copie del suo ultimo lavoro (Dissipatio H.G.), questo accadde qualche tempo dopo un episodio sconcertante relativo al manoscritto "Il comunista", giunto ormai alle seconde bozze. Un cambiamento nella direzione editoriale e quindi dei programmi, ne vanificò l'uscita.
   Morselli il 31 luglio del '73, a 61 anni si tolse la vita. Esattamente venti anni prima di quel momento. Forse la stessa ora, oppure era già tutto successo e in quel momento, venti anni prima, si era appena sparsa la voce della sua morte.
   Venti anni da quel momento che mi vedeva seduto sopra una panchina sotto il sole, in ciabatte e bermuda, con lo sguardo fisso sul mare. Pensai che qualcuno potesse vedermi e che intuisse cosa pensassi. Mi voltai: la piazza era deserta, solo la bancarella, i libri, e l'uomo calvo seduto sulla sdraio. Ma neppure io sapevo bene cosa pensassi quel pomeriggio.
   Chiusi il libro, sfregando con il pollice la ferita sulla copertina, e ancora per un po' guardai il mare. Da lì era forte il chiasso della spiaggia e quello dei suoi colori; eccessivo, in quel caso.
   Solo se vale più del silenzio, aveva detto l'Abate, altrimenti è bene tacere. Questo deve aver pensato Morselli; che valesse più il silenzio, il proprio silenzio. E come si sa tutta la sua produzione, ad esclusione di due saggi, fu pubblicata dopo la morte. Il silenzio su e di Morselli, paradossalmente, fu rotto soltanto allora.
   Adesso volevo io un po' di silenzio, per me, per la circostanza forse. Mi ero avvicinato alla piazza scrutandone da lontano le nebbie, come faceva il tenente Giovanni Drogo dalla divisa fiammante, mentre cercava il nemico nell'orizzonte instabile del deserto.
   Mi alzai dalla panchina accaldato, nella mia divisa indegna, e ripresi la strada di ritorno, risalendo il corso verso casa, fantasticando già il maggiore Drogo, mentre lascia alle sue spalle la Fortezza.

 


 
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