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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Adam Vaccaro: "Tenterò di rispondere..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Tenterò di rispondere alla domanda pluralizzandola. Perché al singolare mi risulta sfida ancora più ardua. A cosa servono e dove vanno allora le poesie?
   Mi affido per farlo alla mia Adiacenza (Cfr. Ricerche e forme di Adiacenza, Asefi, Milano, 2001), che sintetizzo – a favore di chi non conoscesse i miei scritti critici – col titolo di uno dei saggi del libro, dedicato a Gio Ferri, Tutte le lingue del corpo nel corpo della poesia. L’Adiacenza, quindi, come forma e relazione complessa di tutte le lingue (comprese quelle dei sensi) che ci costituiscono. Testo che non rappresenta, ma ricostruisce un corpo.
   Quando questo succede scatta per me la magia della poesia, come forma d’amore e di intensa comunione, che riesce ad attivare sinapsi inusitate, rinnovando il nostro panorama mentale per diventare materia vitale, reattiva all’esistente e alle sue logiche di potere e divisione, che spesso (ci) appaiono senza alternativa. Una catena dunque di sensi che coinvolge il visibile e l’invisibile, del soggetto e dell’esterno.
   Quante sono le forme di poesia (come singoli testi e architetture espressive) che vanno nella direzione di tale complessità, capaci di misura e presenza nel mondo? Per essere e mettere in comune con gli altri. Poche, naturalmente, sia perché è sempre stato così, sia per i caratteri del mondo contemporaneo. Che mentre declama aperture, disegna orizzonti storicosociali chiusi, con divieti espliciti o impliciti, alle lingue che vogliono parlare. Ne nascono forme di lingua dello schiavo (Lenin) con sovraccarichi di allusioni e riduzioni di ciò che viene messo in comune.
   Quando tutte le lingue del corpo parlano veramente insieme, producono forme di canto che moltiplicano e insieme riducono lo iato tra significante e significato, coniugando complessità, transitività e critica all’esistente. E' una tensione che se non dà alcuna garanzia del punto di arrivo, produce coinvolgimento di tutti i nostri livelli cognitivi, con-fuso in quel canto materico (di cui parlava Leopardi) di momenti orgasmatici di eros e gioia. Che si oppongono a tutto ciò che li nega e implicano coscienza di pensiero tragico. Su questo oggi misuriamo limiti e vuoti della poesia in atto, di apparente fermento e sostanziale stallo. Ma – oggi e sempre – se la poesia è complessità adiacente tra le lingue di cui siamo fatti, e non è pappa del cuore (Hegel), non vuole andare da nessuna parte: vuole stare, e far stare meglio, qui e ora.
   Il compito della poesia è il più difficile e il più umano: senza enfasi e gigantismi eroici, oscilla tra distacco e immersione nel mondo, tra inutilità e rilevanza antropologica, civile e sociale, conoscenza condivisa ed etica di passioni gioiose (Spinoza), non in cielo, ma nella carne della storia.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Negli ultimi decenni abbiamo vissuto in un processo di accelerazione di cambiamenti, con vere e proprie esplosioni delle vecchie identità. È noto che tutti i cambiamenti comportano un processo mentale di elaborazione del lutto rispetto a ciò che viene perso, indipendentemente dal contenuto di questo. Al di là delle analisi di quanto perso e acquisito, è indubbio che nell’ultima fase storica siamo stati (e siamo) in una condizione che tende ad accentuare la difficoltà di tempo mentale necessario all’elaborazione dei mutamenti che si succedono.
   Questa condizione tende a produrre una percezione, della propria identità e dell’Altro, connotata da un senso di sospensione – privo cioè di quegli attributi che facevano parlare di realtà, con connotati di concretezza e solidità. De Rita nell’ultimo rapporto del Censis ha acutamente definito le ultime generazioni come leggeri di testa. Credo però che questa osservazione possa essere attribuita anche a tanti adulti, tali solo per l’anagrafe.
   Penso che la fonte di tanti atteggiamenti, letteralmente abbandonati all’aria che tira, stia nella percezione di mutamenti tanto veloci e indipendenti dalla volontà o dall’azione del singolo, da spingere quest’ultimo a ridurre l’interesse sia verso il futuro, sia (a specchio) verso il passato; riducendo quindi sia la componente etico-progettuale, sia il bisogno di un ritorno profondo nella memoria. Per cui le identità tendono a volare in una beotitudine chiusa nel presente.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

A questa domanda credo di aver dato risposte implicite al punto 1 e col successivo punto 4.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

In uno scritto del 16/8/88 (Diari inediti, della cui disponibilità ringrazio Rosemary Liedl Porta), Antonio Porta scrive: "Tutto accade dentro una cornice che si chiama 'sfida della comunicazione'. Ma 'comunicazione' vuole dire prima di tutto 'mettere in comune'… tuffarsi insieme nel mare del linguaggio … La comunicazione non è un piroscafo di linea", è "entrare dentro il cuore della lingua e farmelo rovesciare sul tavolo".
   "Ma è chiaro che questa identità linguistica (specifica, sempre A. P., in un altro scritto nel volume collettivo Chi è il poeta?, Ed. Gammalibri, Milano 1980, a cura di Silvia Batisti e Mariella Bettarini) è continuamente preparata dalla successione di eventi extralinguistici e insieme dalla capacità di sopravanzare questi eventi, per atroci che siano", dando cioè "loro un senso … non esiste, né può esistere, un linguaggio autonomo della poesia come fatto puro, autonomo. La scrittura poetica si muove autonomamente ma all’interno di tutti gli altri linguaggi, compresi quelli scientifici … mi pare quasi superfluo affermare che il testo non basta a se stesso" (pp. 174-175).

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

La Casa, come figura metonimica di un’identità (nel titolo della mia raccolta, La casa sospesa, Joker, 2003), vive negli incroci e disagi sintetizzati al punto 2, alla ricerca di forme di ripresa di tempo mentale tra inferni e paradisi dolorosi-gioiosi, sia dell’universo sommerso (conscio e inconscio) del passato, che dell’oggi. Può oggi la poesia, nella sua incoercibile autonomia, essere voce di ricerca utopica di possibilità vitali non contemplate?, spazio mentale non alienato che costruisce un’adiacenza tra gli universi molteplici del Sé?, ed essere corpo della tensione del soggetto verso gli universi della Totalità?
   Tale status e visione si pongono, come detto, fuori (radice di sacer, di sacro) dal perimetro di idee e prassi del contesto attuale, interessato sempre e solo a una parte del soggetto (forza-lavoro, sesso ecc) per ridurre tutto a merce. Quindi, la figura di poeta non può che (ri)cadere nel patetico o nell’estraneo, a meno che non acquisisca qualche forma di potere. Nel qual caso, la poesia (e chi pretende di praticarla) diventa merce e perde se stessa.
   Non è casuale che il fermento apparente di poesia e critica non sappia, nell’attuale catastrofe antropologica, farsi corpo di una Società Letteraria capace di voce critica di rinascita collettiva.

[Adam Vaccaro]