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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Giorgio Linguaglossa: "Nell'epoca dell'economia..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Nell'epoca dell'economia capitalistica la poesia non ha nessuna «funzione». E già il termine in sé è equivoco, perché tradisce il concetto corrivo e borghese secondo il quale ogni attività dell'homo sapiens deve essere ragguagliata ad una «funzione» utilitaristica. La poesia, come la filosofia, non ha alcuna «funzione», è una attività priva di finalità, è una attività libera, non serve a nulla di pratico. E questo lo ha perfettamente spiegato Kant nella Critica del giudizio.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Il discorso è lungo, ma, per abbreviare ripeterò la nota tesi di Alfonso Berardinelli curatore con Franco Cordelli della antologia Il pubblico della poesia (1975). Il critico già allora annotava la avvenuta mutazione antropologica del «poeta», la sua implosione e moltiplicazione. Ormai - sosteneva il critico romano - i poeti erano così tanti che a seguirli tutti sarebbe stato impossibile, la poesia si era democraticizzata, non si richiedeva più alcun curriculum di studi, tutti si auto dichiaravano «poeti» e tutti erano legittimati a legittimarsi mediante campagne auto pubblicitarie e creazioni di appartenenze e affiliazioni. I poeti si erano adattati alla nuova epoca che non richiedeva ormai più nulla alla poesia e non richiedeva neanche una qualche preparazione culturale: era sufficiente esibire le proprie credenziali: bibliografia amicale, premi, docenze e quant'altro e il gioco era fatto. A ciò si aggiunga la mancanza di un ricambio generazionale ai vertici delle grandi case editrici e si ha la mappa dei poeti di nicchia di questi ultimi cinquanta anni. Il fatto evidente è che con il giudizio a posteriori si può dire che la poesia italiana di questi ultimi cinquanta anni è stata decisamente minoritaria in Europa, non ha saputo né voluto guadagnarsi una credibilità culturale, ci si è accontentati di vivacchiare con un linguaggio poetico sempre più povero di pregio culturale. Il risultato finale di questo lungo processo è che oggi la poesia italiana non ha nessuna credibilità culturale, sopravvive a se stessa nella nicchia dorata della propria gassosa vacuità.
   Già negli anni settanta un poeta come Franco Fortini stigmatizzava che ormai in poesia le scelte editoriali le facevano gli «uffici stampa dei grandi editori» e che la critica di poesia era un arnese obsoleto che non aveva più alcuna influenza sulle scelte editoriali e sulla politica editoriale del comparto poesia. Oggi, a distanza di cinquanta anni appare sempre più evidente il carattere obsoleto della critica di poesia, chi la fa fa una critica di accompagnamento, di cerimoniale che nulla ha davvero in comune con un pensiero critico. Perché una critica ha senso se la si esercita come intermediario con un pubblico libero e intellettualmente preparato. Oggi che non c’è più un pubblico della poesia è del tutto fuorviante parlare di critica della poesia, ed io stesso non sono un critico né aspiro ad esserlo, io mi dipingo molto più semplicemente come un contemporaneista, con tutti i limiti e i pregi, se ce ne sono, che una tale definizione comporta.
   Il problema da mettere a fuoco è che in questi ultimi, diciamo, cinquanta anni, la poesia italiana è rimasta priva di una classe dirigente. Per classe dirigente intendo una classe di letterati (aspiranti poeti, diciamo così, perché “poeta” è una parola grossa, che addossa sul malcapitato ernormi responsabilità). Voglio dire che in un paese dove la classe dirigente del comparto poesia è inamovibile, dove i medesimi personaggi occupano da decenni i posti chiave delle grandi case editrici, il risultato più probabile è che in quel comparto non ci saranno, diciamo, novità, non si avranno rinnovamenti, insomma, voglio dire che quei poeti alla lunga perderanno il contatto con la storicità del divenire, con le nuove tendenze poetiche, con i nuovi poeti, insomma, l’effetto che si avrà è che si avrà un sostanziale immobilismo nelle scelte degli autori e nelle politiche che, necessariamente, diventeranno sempre più clientelari e personalizzate.
   E poi il fatto che nessuno dei poeti attualmente ai vertici degli uffici stampa degli editori a maggiore diffusione nazionale sia anche un critico, questo è un deficit che produce ripercussioni gravi sul comparto poesia, perché è inevitabile che ciascun poeta che occupa quegli uffici tenderà a creare una politica editoriale personale (anche involontariamente e in buona fede) che sia una prosecuzione della propria attività di poeta. E questo elemento di criticità alla lunga, con il corso dei decenni, introduce delle distorsioni sempre più vaste e profonde, diventa un elemento di cecità verso il «nuovo». Oggi chiunque apra un catalogo di Einaudi poesia o Mondadori poesia si troverà davanti a decine di nomi che non si capisce bene come abbiano fatto ad approdare in collane un tempo prestigiose, perché è chiaro nel leggere le loro opere che sono persone che scrivono in un linguaggio politicamente stereotipato e telefonato (nel migliore dei casi), che insomma non sono dei letterati e neanche degli intellettuali, che fanno poesia come hobby, come interludio, come svago…
   A questo punto il risultato finale è che viene meno anche la credibilità di un intero comparto culturale. Oggi, in effetti, è l’intero comparto culturale della poesia ad essere del tutto inutile ed esornativo, decorativo e nulla più.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Non c'è nessun criterio per identificare «il linguaggio della poesia». Ma c'è un concetto. La poesia è una idea che inerisce ad un concetto. Ma, in assenza di un supporto critico credibile e attendibile, chi o che cosa - mi chiedo - riscatterà la «poesia» da questa condizione?

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

«Oralità, scrittura, virtualità» non hanno alcuna interazione con la poesia. La poesia di una comunità di parlanti interagisce con la lingua della comunità nel suo complesso e con le condizioni storiche e sociali di quella comunità linguistica.

5. Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Lo «spacciatore» ha lo status di criminale e il suo luogo è il carcere; il «pornografo» ha il suo luogo nella società, lui sì che svolge una funzione di pubblica utilità in quanto la sua attività viene remunerata secondo le leggi della domanda e dell'offerta; sia il «criminale» che il «pornografo» svolgono quindi una «funzione». In una società regolata dalla divisione sociale del lavoro, una attività come quella del «poeta» non è prevista, e quindi non è regolata da alcuna legge o convenzione. Questa condizione pone la «poesia» in una situazione alquanto precaria e a rischio di estinzione.

[Giorgio Linguaglossa]