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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Alessandro Ghignoli: "Quale funzione, significa..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Quale funzione, significa quale compito spetta alla poesia, oggi, prima, sempre. Può attendere alla poesia esplicitare un compito, farne quindi un servizio, farsi servizio? Nella nostra epoca definibile di globalizzazione, di mondializzazione, di normalizzazione capitalista, vale a dire di un luogo-spazio in cui ciò che non entra nei presupposti di commercio e di mercato e di compravendita non è, non esiste, la poesia non può conformarsi in un’ottica di funzionalità. Allora che fare? Non pensarci, continuare a scrivere, come fosse niente? Continuare a donare versi, ma chi li leggerà mai! Possiamo pensare un altro modello? Complesso, ma ci proviamo; e allora proviamo a pensare il nostro quotidiano come qualcosa che non è retto solo dalle leggi del mercato, bensì cercare di allargare, allungare, spaziare, aprire il termine di utilità a qualcosa che non è semplicemente una formulazione postfordista e neocapitalista, ma usare la poesia non perché serva, ma perché utile secondo i miei canoni di utilità, di servilità: del piacere e del godimento unico e mutuo, di una visione di ri-costruzione del mondo condiviso e infinitamente personale nell’atto di ogni superazione, nell’atto individuale per:verso, con:verso.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Rifletto unicamente su un punto. Da un certo punto di vista, non è cambiata affatto, è sempre uguale all’uguale. Abbiamo avuto sempre poeti che hanno pensato al loro nome, alla santificazione dell’idea di essere ciò che è possessione di un territorio piantandoci una bandiera, sviluppando un simbolo, con un nome fatto riflesso di un sé ben stampato in ogni luogo dove potesse dare loro quei cinque secondi di soddisfazione egonarcisistica. Abbiamo avuto poeti che s’infuriavano perché non erano inseriti in un’antologia, fino alle produzioni dei più giovani già vecchi che ancora una volta ansimano il loro nome, il loro sé come possessione in tutti i luoghi del creato e soprattutto dell’increato per poter dire: io esisto, io sono (il poeta)! Verrebbe da chiederci quanti poeti c’erano al tempo di Leopardi, e di quanti poeti (poesie?) di allora ci ricordiamo oggidì.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Quando leggo la poesia di oggi vedo copiature pessime di autori mal tradotti, di classici non saputi leggere, di mancanze di discipline perché anche nell’indisciplina di un testo poetico, c’è l’autogoverno di obblighi etico-morali della scrittura. Nel migliore dei casi non si tratta di pseudopoesia, ma di poetiche, vale a dire di giustificazioni di ipotesi di scritture, come se al disattento-attento lettore interessassero i motivi (non più celati, ahimé!) del poeta o presunto tale che ha deciso il cammino dell’olimpo per essere eternamente riconosciuto. Qualsiasi cosa può far parte del linguaggio della poesia, l’importante è che dietro ci sia l’onestà della scrittura e quella è sempre ben visibile e vivibile.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

Interagiscono come sempre ha interagito la funzione del linguaggio nella testa di uomini e donne e donne e uomini che soli insieme incontrati lasciati scontrati hanno vissuto e visto il loro esser:ci come il più inutile dei gesti che si possa concepire nel poco tempo del loro/nostro vivere. La parola è la padrona, quante volte ha provato e prova e proverà il capitale a farla diventare merce, prodotto, saldo, occasione, ma la parola penetra si cova spinge preme e crea negli interstizi delle nostre teste delle nostre terre dei nostri mari tutti i più possibili mondi impossibili dove vivere e stare e finalmente e stirnerianamente possedere e possederci nelle differenti costruzioni di un dire attraverso una parola che può e possa essere edificabile in un testo di poesia. Lì c’è la realizzazione di me di noi di una poesia di un lettore di un testo (nel) poetico.

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Nessuno. Per sua/nostra fortuna. Perché lo spacciatore e il pornografo fanno parte nei gangli più importanti del sistema capitale, sono costruttori, muratori, architetti, sindaci, azionisti, maestri, dicitori, camerieri di un mondo fatto da loro per loro, dove non c’è luogo né ossigeno né spazio sociale per chi non è dalla parte del potere, dalla parte del controllo, della sicurezza, del manganello democratico-occidentale fino all’estensione della sua parola massmediatica prevaricatrice e insolente. Il poeta è un disadattato, un lebbroso, una mancanza, un errore, una sgrammaticatura, quando si avvicina al successo della poesia, se è poeta ne rifugge ogni elogio, ogni interesse personale, ogni pratica corporale di sottomissione alla adulazione di fantasmi e di arroganze. Quando il poeta sarà accettato socialmente, solo allora sarà davvero, sarà veramente davvero finita.

[Alessandro Ghignoli]