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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Kiki Franceschi: "Nel passato c'è stato chi..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Nel passato c'è stato chi ha ritenuto che la poesia dovesse avere una funzione sociale o qualche compito gradito al potere politico. E' stata una messa a morte della poesia. Niente funzione, non se ne parli.
   La poesia è vita, esplorazione. Esplorazione in quel non luogo dove nascono i linguaggi, là dove ogni discorso poetico affonda le radici, quando la musica vocale mette in scena la parola, quando il suono diventa significato ed ha una precisa forza impressiva ed espressiva. Esplorazione per ritrovare quei luoghi dimenticati dove i suoni e le parole non sono né suoni né parole ma hanno una precisa somiglianza, suoni leggeri, parole diafane in trasparenza, sospese.
   Esplorazione negli oscuri recessi della storia, vagando oltre cumuli di cocci, frammenti, resti di templi, parole e suoni, povere elemosine dei secoli e dei millenni. La poesia è desiderio di una scrittura del non scritto, senza grammatica, fatta di parole sperdute, scritte e abbandonate, che arrivano lievi come il vento e passano con la vita stessa.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Mi viene in mente subito la poesia di Morgenstern Canto notturno del pesce dei primi del Novecento, mi pare 1901, poesia visuale, e concreta e poi ripercorrendo in prosieguo quel magico periodo sperimentale della poesia fino ad oggi sono convinta che il percorso poetico è stato rivoluzionario.
   Alla base di ogni rivoluzione è la ricerca del linguaggio che ne deriva e che la determina. Si scopre allora che ogni innovazione s’innesta sempre su una tradizione culturale perché l’artista osserva e ripensa di continuo al passato e al presente ed è da questo suo ripensamento, "rimuginamento", "ruminamento", inizia la sua personale proposizione.
   Osservando il percorso dell’avventura poetica che è venuta segnando i secoli il poeta riscopre i perché, ritrova i suoi padri. Soprattutto il poeta d’avanguardia, o almeno quel poeta il cui percorso appare innovativo e azzardato. Esiste una tradizione letterario-visiva-sonora trascurata nella sua natura iconico-linguistica sonora, che costituisce un genere a sé nell’ambito della letteratura, una produzione poetica dove il gioco e l’arte s’intrecciano, s’incontrano in motivazioni profonde che vanno interpretate dalla radice dell’impulso all’intenzione dell’atto. Gioco ed arte sono uniti nel carme figurato, nei technopaegnia medievali, nei calligrammi su su fino ad arrivare a quelli di Apollinaire, alle sperimentazioni poetiche e musicate di Ginsberg. Gioco ed arte liberano l’artista dalla necessità di raccontare, stimolano il suo ingegno, aguzzano il suo genio, coinvolgono il lettore nel divertimento dell’artificio, nell’inganno sottile, nell’ambiguità prodigiosa, nello slancio mistico talvolta. L’analisi da farsi non è solo visiva. Occorre risalire all’origine di quell'impulso formale che va a ricercare l’espressione iconica come se la parola o il suono non fossero sufficienti alla estensione poetica. Certo è che dal medioevo in avanti si ha una folla di autori, Colonna, Marino, Boccaccio, Boiardo, Folengo, Góngora, che con la poesia sonora e figurata raggiungono estremi di virtuosismo e di eleganza. Se i carmi figurati medievali sono pagine di lode cosmica del Liber Mundi, le opere moderne, nate da un mondo senza eternità e divino, sono auto-celebranti e testimoniano la necessità di sovvertimento, di rinnovamento del mondo dell’arte.
   E’ come se lo scrittore si ribellasse alla scrittura, ad un’immagine della scrittura fatta solo di linee rette. Infatti la linea retta è il solo effetto iconico che nasce dalla nostra scrittura ed è quello che la fa apparire più lineare di quanto non sia. Il fantasma del rigo nero che attraversa il foglio bianco è radicato profondamente nella coscienza della nostra scrittura alfabetizzata, tanto che la lingua appare composta da una linea di parole, una linea di suono che attraversa il silenzio.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

In poesia valgono molti linguaggi, anche usati insieme: sonoro, visivo, gestuale e "lineare". Mi piace davvero poco questa definizione in uso. (Lineare mi fa venire in mente la scrittura lineare b.) Uso di malavoglia l'aggettivo ma tant'è, lo uso per intendersi al volo. Io sono convinta che la poesia e la pittura nascono da un pensiero parlato, da immagini interiorizzate, da un "inner speech" - così lo definiva Vittorio Sereni - che sta tra la visione e la parola. Il poeta e il pittore colgono gli aspetti della vita ma vanno oltre. Puntano all'essenza. Il significato della pittura e della poesia e anche quello della storia sono da trovarsi nel rapporto con il grande archetipo dell'esistenza umana. La poesia per me è esperienza totale. Mito, linguaggio, cosmologia in movimento, musica, sonorità, gesto.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

Ho già detto prima che tutte le espressioni poetiche possono essere contemporanee. Poesia totale è anche ritorno alla tradizione, alle origini della poesia che nasce come esperienza totalizzante: musica, gesto, oralità, visualità. I paleolitici che facevano arte nelle grotte al lume delle torce, dipingevano, danzavano, esprimevano in suoni e parole i loro messaggi al cosmo. E così nei secoli a venire abbiamo assistito a questa entusiasmante commistione espressiva... pensiamo alle sonorità barocche di Góngora, agli esperimenti di Marino, Folengo, dei mistici inglesi fino ai futuristi che si sono agganciati anche loro a questa tradizione, che hanno operato sul significante in poesia, quel significante che ha la qualità espressiva necessaria per dare sostanza al significato.

5. Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

E' dagli anni 70 che assistiamo sgomenti alla banalizzazione dell'arte, una contaminazione tra atteggiamenti progressisti e reazionari. Vediamo in giro una produzione perfettina, un lavoro che talvolta sembra d'avanguardia e tuttavia è pura accademia.
   Per questo ci sentiamo soli. Ci sentiamo abbandonati dalla società in cui viviamo, siamo alieni tra zombies che amano il kitsch e accettano soltanto quello. Oramai estinti i fuochi della controcultura degli anni sessanta, quando tutti eravamo poeti pronti ad afferrare il cielo e a scrivere persino sui muri i nostri sogni, ora viviamo in una anti-cultura piatta e grigia.
   Come sopravvivere? Credo che dobbiamo impossessarci dell'arte, ri-meditare le ragioni del nostro fare poetico. La poesia è roba nostra e solo nostra. Fino dai tempi di Lascaux è stato così, quando noi poeti nella caverna, al buio appena vinto dalle fiaccole vivevamo la nostra avventura espressiva e facevamo arte per indossare con gioia e condivisione l'universo intero.

[Kiki Franceschi]