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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Paolo Febbraro: "La funzione della..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

La funzione della poesia è quella di esserci, di essere scritta e di proporsi, contro tutto ciò che sembra farne a meno, a tutti, pur sapendo che pochissimi la accoglieranno. Non ha una funzione specifica; in passato servì a eternare le gesta di eroi, atleti e condottieri, ad allietare i conviti, a tramandare le leggende di fondazione, persino a rappresentare in un "analogo poematico" la natura stessa delle cose (Lucrezio). Oggi la poesia deve principalmente resistere a un mondo che è tutto teso a scoprire nuovi modi di comunicare più che a elaborare motivi profondi per farlo. Deve introiettare la propria marginalità mediatica per giocare a rafforzarsi sempre più. Sembrerà buffo, ma meno ha potere più la poesia deve aumentare il proprio peso specifico. Proprio perché verrà letto da pochissimi, ogni libro di nuova poesia deve aspirare a cambiare tutte le vite.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Da cinquant’anni a questa parte, ovvero dall’apparizione della Neoavanguardia e dall’egemonia dei mass-media, la poesia è mediamente peggiorata. La tenuta formale è diminuita, c’è più velleitarismo e sempre più una vaga "scrittura di tipo poetico" è apparsa come il mezzo di espressione di un gran numero di persone. Tendono a mancare il differenziale poetico, quella dignità figurale, quella onestà artistica che caratterizzano il vero lavoro poetico, la congruità dell’ispirazione, e persino (o soprattutto) la qualità profonda della persona che scrive e pubblica i suoi versi. Negli ultimi cinquant’anni ci sono stati ottimi poeti, ma la critica e la storiografia letteraria se ne sono accorti con enorme fatica, spesso con la trascuratezza di chi si fa sommergere dalla quantità e rinuncia al dovere di selezionare, comprendere e indicare. Poeti ed editori, senza la critica, hanno fatto da soli, esaltando poeti che sono piccoli o grandi equivoci, e lasciando nell’ombra i pochi veri autori.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Quello della poesia non è un linguaggio, cioè non è un tipo di espressione specifica. Dunque, non va identificato in alcun modo, se questo deve avvenire nei confronti di altri linguaggi, come quello del giornalismo, della politica, dell’economia, ecc. Tipico della poesia è l’uso semantico del suono della lingua: trarre significati dalla musica verbale. Di fatto, non è un linguaggio, ma una modalità della mente, una facoltà umana.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

Della virtualità non saprei, non me ne occupo e m’interessa poco. Scrivo i miei versi a mano, e ancora oggi preferisco pubblicarli su carta che sul web. Fra oralità e scrittura c’è sempre stato, in poesia, un grande e vivo rapporto. Mi piacciono le letture in pubblico perché sono anche un test delle qualità sonore dei singoli componimenti, del loro fascino, anche misterioso e non immediato, della loro potenzialità. La poesia non è mai stata solipsistica, è sempre stata orientata verso un pubblico che ascolta e legge, anche se il primo ascoltatore di un componimento è il suo stesso autore, che dovrebbe essere il più severo ed esigente, il più cauto nel metterlo in circolazione.

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Sullo spacciatore e sul pornografo non saprei… Forse sono più accettati perché un gran numero di persone ha bisogno di drogarsi e di vedere pornografia. Non so che farci. Abbiamo lottato per secoli per ottenere democrazia e libertà per tutti, pari dignità per tutti, ed ecco che i "tutti" si esprimono rispondendo in massa ai famosi "bisogni indotti" da una vita di lavoro alienata e mediamente poco soddisfacente. Del resto, in un mondo inquinato, lanciato a folle corsa verso la catastrofe ambientale, affollatissimo e rimescolato da immani migrazioni, con enormi sperequazioni economiche, vorrei vedere che molti non cerchino uno straccio di evasione nella droga o nel sesso virtuale. L’antico regime era inaccettabile, ma quello nuovo è entropico, frustrante, finto-libero, e consuma enormi energie nervose e materiali. Da parte sua, la poesia è accettata nelle sue forme surrogate: le canzoni riempiono gli stadi e le radio, moltissimi testi filmici e televisivi accostano immagini e suoni in maniera intuitiva e analogica, appagando il desiderio di sorpresa e creatività. Il testo poetico vero e proprio da una parte si inflaziona, diventando espressione semplificata dell’esperienza, dall’altra ha bisogno di tempi di lettura dilatati, di silenzio interiore, di disponibilità profonda, di plurime connessioni alla propria memoria. Chi oggi può permettersi questi lussi? Sappiamo bene che il tempo libero di massa è stato concepito dall’industria moderna solo per ricomprarlo immediatamente con milioni di occupazioni evasive (sport, moda, vacanze esotiche, industria culturale, mito della "forma" fisica, ultimamente la gastronomia e l’abilità culinaria). Oggi il rumore di fondo è intollerabile, e viene vinto solo da altro rumore che abbiamo l’illusione di scegliere. Davvero, credo che la poesia sia ormai una questione aperta solo per qualche migliaio di persone. Forse avrà 50.000 lettori in tutta Europa. Cento anni fa un libro di versi poteva benissimo essere stampato in 500 copie, perché ognuna di esse aveva il nome del destinatario virtualmente scritto sopra il frontespizio. Quelle 500 persone erano la società letteraria, e la società letteraria coincideva con l’élite culturale, che condivideva le letture di base e si aggiornava concordemente sugli stessi testi. Era naturale il passaggio fra la pubblicazione, la lettura, il giudizio di valore, la critica e la storia della letteratura. Oggi quel passaggio è spezzato. Non è in crisi la poesia, che ha ancora una quindicina di ottimi autori, ma il lettore-critico di poesia, il gusto, la strumentazione retorica e la tenuta morale dell’interprete. Si preferisce dichiarare morto un tipo di letteratura e tacciare di retrogradi i suoi ultimi esponenti. D’altronde, se 100.000 scriventi non hanno spessore, i 50 che ne hanno sono automaticamente dei sopravvissuti. Resta la speranza della scuola, che ha un’immensa potenzialità. E' un mondo ancora legato all’autorità e alla personalità dell’insegnante, e quindi allo scambio affettivo del sapere, nei confronti di giovani inesperti ma da cogliere nel momento magnifico della crescita e dell’affermazione, del desiderio e dell’incertezza. Per loro la poesia può ancora diventare un’inquietante abitudine.

[Paolo Febbraro]