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L'area di Broca

Poesia XXI
cinque domande per provare a capire
cos'è, dov'è, dove va la poesia
in questo inizio di XXI secolo?

Roberto Deidier: "Non ho mai creduto..."

1. Che funzione ha la poesia? A cosa serve?

Non ho mai creduto a una vera e propria "funzione" dei linguaggi estetici. A chiunque abbia scelto di attribuire una qualsivoglia qualità alla poesia, civile, o più espressamente politica, o vagamente consolatoria, ho sempre risposto che la poesia è tutte queste cose insieme, e nessuna di queste, senza bisogno di alcun aggettivo. Nel nostro confuso presente (ma quale presente non lo è?) fare poesia, cercare quella condivisione di senso che solo la poesia sa dare, è già un grande atto di civiltà. Perché la lingua, la materia della poesia, è la nostra carta d’identità; allora, esercitare la lingua al massimo della sua espansione è veramente la più profonda azione di anticonformismo che possiamo compiere. E' il solo, autentico luogo di incontro a cui riesco a pensare: dove l’umano si fa parola, e la parola circola creando relazioni, stabilendo contatti, suscitando tensioni. Proprio per questo è importante che la poesia comunichi, che non si arrocchi nei suoi preziosismi, rinunciando magari a qualcosa delle sue potenzialità retoriche, alle sue tentazioni di oscurità.

2. Come è cambiata la poesia negli ultimi 50 anni?

Mi verrebbe da dire che si sia meno "letteralizzata", che abbia cominciato a usare un linguaggio più "onesto", come indicava Saba, che su questo aspetto è stato spesso frainteso. Poi, però, leggo soprattutto tra i più giovani poesie iperletterate, e allora non so più se dipende dalla loro età, dalla loro ricerca d’identità ancora in corso, dalla loro fatica di conquistarsi una lingua, o se si tratta di una vera tendenza. Il panorama è molto frammentario, rispetto al passato, quando esistevano dei punti di riferimento, che potevano essere Montale o Ungaretti, Saba o Penna. Non dico che questo sia un limite, probabilmente lo era per quel passato, che ha cominciato a frantumarsi negli anni Settanta; può anche essere una ricchezza, ma potremo giudicarla solo nel tempo. Se la poesia vera è sempre così splendidamente inattuale, abbiamo bisogno di un ampio arco di tempo per poterla serenamente osservare. Per questo non riesco a condividere il lavoro di antologisti e manualisti frettolosi, che scavano nel corpo vivo della poesia confondendo le acque, solo per affermare un proprio piccolo, esilissimo potere.

3. Come si identifica oggi il linguaggio della poesia?

Ecco, si muove su molti livelli e in altrettante diverse direzioni. Per quanto siano caduti gruppi e scuole, anche se solo in modo virtuale, perché il gruppo o la scuola continuano a servire più al critico che al poeta, direi che emergono soluzioni difficilmente riconducibili a questa o a quell’etichetta. Gli anni Settanta e Ottanta, pur nelle loro differenze evidenti, mostravano ancora certe compattezze interne, per esempio la fisicità, o il neometricismo: già negli anni Novanta queste si vedevano meno, ma questo dipendeva, allora, anche dalla scarsa visibilità che la nuova generazione affermatasi in quegli anni subiva. Oggi i giovani hanno a disposizione molti più strumenti, a partire dal web, per farsi conoscere, ma spesso non interagiscono, sono autoreferenziali e si autopromuovono all’interno della loro fascia anagrafica, insomma non dialogano con chi lavora già da tempo. Si è interrotto un canale fondamentale e questo temo che non sia un aspetto positivo proprio per la naturale evoluzione dei linguaggi. Montale chiedeva una certa consapevolezza nell’inserirsi, col proprio lavoro di poeti, a una certa altezza dello sviluppo del linguaggio poetico. Questo aspetto è venuto meno. Certi preziosismi che intasano il linguaggio dei giovani non sono davvero tollerabili, ma ciò che è più inquietante è che loro non lo sanno. Si è interrotta, insomma, una "tradizione", se così possiamo chiamare non la stasi, ma il movimento dei linguaggi. L’aspetto sorprendente è che la lingua della nuova poesia lascia intendere molte letture, spesso però mal digerite o male assimilate.

4. Oralità, scrittura, virtualità: come interagiscono i differenti canali nella realizzazione del testo poetico?

Il testo poetico è fatto per l’orecchio, ancor prima che per l’occhio. Se voglio "sentire" una poesia devo leggerla a voce alta, devo intendere come suona. Questi canali sono dunque tutti interagenti tra loro. Quanto alla "virtualità", se la si intende negli aspetti performativi della poesia, allora devo ammettere che questi sono già tutti nella natura del testo, che è uno spartito da eseguire. Diffido, per esempio, dei performer che urlano: la poesia, se è riuscita, arriva naturalmente come uno schiaffo, non ha bisogno di essere urlata. Se invece intendiamo la virtualità come invenzione di mondi altri, allora la poesia è la più virtualista delle creazioni umane, apre tutte le porte della mente.

5 Qual è lo status del poeta? Perché oggi uno spacciatore o un pornografo sono più accettati socialmente di un poeta?

Viviamo in una società altamente pornografica: il culto spropositato delle false immagini, la creazione di icone da quattro soldi porta inevitabilmente alla pornografia, ovvero al nudismo esibito di tutto, dalle emozioni, che così si sviliscono, alle vicende private, che si prestano a un cortocircuito di morbosità davvero inquietante. Altro che il «mon coeur mis à nu» di Baudelaire… Siamo tutti fruitori di questa messe pornografica, basta accendere la televisione, aprire i giornali, entrare nella rete. La società si identifica in questi non-valori, e se ci si azzarda a invocare altri valori si è subito tacciati di falso moralismo e azzittiti. Anche l’editoria non è esente da questa pornoinvasione, che sottrae volutamente spazio a ciò che è autentico, lo priva della possibilità di esprimersi e farsi riconoscere: il poeta però rappresenta una sacca di resistenza, perché è ancora libero, non avendo un mercato. Paradossalmente, la sua marginalità lo preserva dagli assalti di una cultura avvilente e ne fa il punto di attrazione per quei pochi – ma bastano comunque – disposti a invocare altre identità, più coraggiose. Così, suo malgrado, il poeta si ritrova oggi a svolgere una funzione sociale in cui recupera il suo antico ruolo, se così vogliamo, "epico": quello, cioè, di identificare il margine tra l’eterno e il transeunte, tra l’autentico e l’effimero. Di parlare a nome di una civiltà altra, rispetto a quella in cui siamo tristemente invischiati; di porre delle nuove fondamenta.

[Roberto Deidier]