"L'area di Broca"

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Giovanni Stefano Savino

Poesie da "L'area di Broca"
 

Giovanni Stefano Savino è nato a Firenze nel 1920. Ha svolto diversi lavori, tra cui: impiegato Poste e Telegrafi dal 1938 al 1949; soldato di leva dal 1940 al 1945; insegnante (scuola elementare, media inferiore e media superiore) fino al 1979. E’ morto a Firenze nel 2018. Dal 1993 ha scritto migliaia di poesie, una scelta delle quali, dal 1999 ad oggi, si trova nei volumi editi da Gazebo: Anni solari (2002), Anni solari II (2004), Trialogo, con G. Maleti e M. Bettarini (2006), Anni solari III (2007), L’acerbo vero (2008), Canto ad occhi chiusi (2009), Versi col vento (2010), Lascito (2011), Le liquide ore (2012), Versi d’attesa (2013), I gomiti sul tavolo (2014) e Versi col tempo (2015), Versi a bassa voce (2016) e Versi senza titolo (2017). Alcune di queste poesie sono state pubblicate anche su vari numeri della rivista “L’area di Broca” e noi le proponiamo in questo spazio virtuale.
 
Poesie (a ritroso)

***

E’ sera. Cuore sopporta. Hai le mani,
un foglio e scrivi. Mi restano i giorni
della vergogna e della solitudine.
Tu non cercare. Mordi a lungo il resto
Del giorno. Nella notte, se ti riesce,
dormi. Nel verso nascondi il tuo andare
in solitudine. Scrollati le ore
di dosso, inventa per te un nuovo giorno.
Musica nuova trova, per via nuova.

25 aprile 2015


***

Quanti domani mi restano, quanti?
Non conosco il cammino dei giorni.
Solo parole da mettere in verso,
senza conforto, freddo come l’alba
d’inverno, come la pasta, rimasta
una notte nel piatto. Sono solo.
Mi resta il silenzio della stanza,
l’improvvisato sole nella conca

14 settembre 2015


***

Io siedo al margine della mia vita;
le sillabe non conto più, misuro
la fine. E solitudine trovai
nelle cose del giorno, e sono i libri
chiusi negli scaffali in solitudine,
d’una sonata le immobili note
di una sinfonia. Rompere il silenzio
delle campane sulle vie del giorno.

15 settembre 2015

In “L’area di Broca”, 104-105, 2016-2017


Mediterraneo stretto in versi

Nuotavo in Arno e nel Mediterraneo,
a San Vincenzo, e ancora sento il giglio
sulla riva, la sera sulla duna
vedo ragazza, vestita dai raggi
del sole, alte le braccia. Fui la prima
onda al mattino e l’ultima la sera.
Lungo la riva camminavo a lungo,
e a lungo silenzioso movimento
d’acqua guardavo, e scintillio di sole.
Nuotavo in mare, sulla riva e a lungo
cantavo. Sulla riva o in mezzo all’onda,
sabbia e pane mangiavo, e prima e dopo
il nuoto mi bastava, giorno dopo
giorno, fino al ritorno, fino al sogno
troncato. In Arno, sentivo lo stretto
delle rive. Negli occhi mi tornava
l’ombra della pineta e della spiaggia,
e il nudo corpo sulle dune. Trenta
giorni, e le nuove regole del mare
e l’onda sulla riva, e il solitario
e lungo nuoto, e la fine del giorno,
e l’orma del mio piede sulla riva.

9 giugno 2015

In “L’area di Broca”, 100-101, 2014-2015


***

Entrai in casa tua come un ladro
e non rubai soldi, quadri, vasi
o gioielli, per sempre colsi il volto
di tua madre, il lampo dello sguardo.
Un giorno, e forse fu l’ultima volta,
era seduta sola in una stanza,
un libro a stringere le mani strette,
la foto in copertina apparteneva
alla Callas; un libro tante volte
letto, sentito come suo, uno slancio
che leva il fiato e mira e porta in alto,
dove le stelle tremano leggere,
e non dimenticato, non perduto,
di favola, di musica, di vita.

18 maggio 2011


***

A che mi aggrappo? A sillabe contate,
ma se le lascio sul foglio battute
e raramente di nuovo le acchiappo
e torno a risoffiarle, a ripulirle
ed a dimenticarle. Porto solo,
tagliato dalla forbice del tempo,
a pezzi il mio passato: una partenza,
una voce di donna, sotto i piedi
la ghiaia di un giardino, un corridoio
ed in fondo una porta mezza aperta,
un mare senza vela e senza vento,
a l’Arno in primavera alla pescaia
dopo la pioggia. Musica, memoria,
riempi di suoni la mia vuota sala
e rendimi i sapori della vita,
del seme l’attimo che si fa fiore.

3 dicembre 2011


***

Il giorno sordo, senza risultato,
come invece mi accade, quando addento
il pane. Con le bambole non gioco,
il nulla non rivesto in varie forme;
non sono al principio della vita,
morte incontro più volte e venni al palo;
sono a corto di sillabe e di forze.
Dormo col sole e veglio con la luna.
Sono alla fine e ho appena cominciato
e gli affreschi di Giotto in Santa Croce
non torno più a guardare. Ai miei ricordi
accendo una candela e che si spenga
attendo. Penso a bava di lumaca,
in cielo a arcobaleno, e mordo il giorno

In “L’area di Broca”, 94-95, 2011-2012


***

Tu mi hai rimproverato questo mio
vano passare attraverso i ricordi,
cercando il meglio o ciò che più mi vinse
nell’arco favoloso della vita.
Io ho l’infanzia e qualche lampo, “casta
diva” e su roccia seduto, la luce
addosso del tramonto, non pensando
di avere fatto mai nulla di grave,
di forte nel lavoro; detti un bacio
a una bidella a scuola, inaspettato,
un bacio preso a forza e di nascosto,
e di rabbia per quella bocca bella.
La vacanza veniva tra lezione
e lezione; per me significava
studio da solo, solo studio vero,
non essere tra i primi, ma capire.

25 novembre 2008


***

Chi nasce povero, povero muore,
e lavorare gli dà quando serve
per cibo, vesti, casa, ma la carta
non cambia la partita. Alle colonne
d’Ercole della vita, perentorio
arresto, anche se l’arte, l’invenzione
tentano col lavoro l’impossibile,
segmentando il deserto di paletti
e rendono giustizia ai cercatori.
Io mi adattai al poco. “Essere pronti”,
la battuta è di Shakespeare, “solo conta”;
“ma pronti a che”, osservò Montale. Volli
sapere, e non so nulla. Esco di scena,
e con me porto il vuoto dell’ignoto;
il limare non stanca, si dimentica
in pensione, nel resto del vigore.

25 novembre 2008


***

Rilegatore di libri apprendista,
rivenditore di non so che cosa
e finalmente impiegato alle poste,
nell’esercito inutile guerriero,
poi di nuovo alle poste, poi maestro,
e poi insegnante d’italiano e storia.
Accolsi con amore il mio lavoro,
pagato sempre poco, un maledetto
stare nel mondo. Negli spazi vuoti
delle vacanze studiavo. La gente,
che mi sapeva chiuso, uscivo tardi,
in casa, mi chiamava “il prigioniero”.
E così anche ora che non sono a paga,
scrivo versi, mi sfogo, non cammino;
e concorsi, l’intruglio di un contratto,
non mi attirano più, sono in attesa.

25 novembre 2008

In “L’area di Broca”, 90-91, 2009-2010


***

Prendo il cibo che trovo. Ritornato
a casa a mezzogiorno, piatto e bicchiere
e la forchetta e il coltello, e il prosciutto
avanzato di ieri ho messo in tavola,
e lo stracchino, e ho subito inghiottito
e, per finire, il latte riscaldato
ho bevuto. Il mio pranzo, la mia cena,
io sempre solo a tavola, non variano,
se non per i fagioli o per i ceci
o per le adoratissime patate.
Ed io non cerco il vino, basta l’acqua,
e di cannella. Non so se sia poco
o molto. Da soldato finii l’anno
in osteria. Bevvi, mangiai, e fuori
vomitai, e la notte mi guardava.
Mi consolò altissima una stella.

15 maggio 2008


***

Il giorno che mi presentai al Distretto
e fui arruolato, all’ora della cena,
per terra, nel cortile, mangiai il pollo
arrosto preparato per il viaggio
dalla mamma, e per la prima volta udii
le gavette al lavatoio sbattute,
finito il rancio, dai soldati anziani.
Ho sempre detestato, e non sopporto,
quel necessario lavoro. Per anni,
ripulii la gavetta poco prima
della distribuzione, pastasciutta
o minestra che fosse. E mi va sempre
il cibo di traverso e mi ritrovo
con l’acquaio colmo di piatti e tegami.
Io mangio, e penso ad altro, e per lavare
c’è sempre tempo, e muto grido, dopo!

15 maggio 2008


***

È stata offerta a mia figlia una coscia
di cinghiale, e la Grazia, che la casa
mi regge a perfezione, a pezzettini
l’ha tagliata, lodando il ricavato
cibo, di cui ho mangiato una porzione.
E sapeva di lesso, riportando
alla memoria di ginestra in fiore
i capelli di Marta. Nella notte
la nuova carne non ho digerito
e al mattino, alzandomi dal letto,
ho camminato come impallinato
alla mia gamba destra. Forse al bosco
pensavo, e all’alba tra foglie filtrata
e rami, e per due giorni ho zoppicato,
ed ai tramonti del mese di maggio,
ed alla caccia, alle grida, alla morte.

16 maggio 2008

In “L’area di Broca”, 88-89, 2008-2009


***

Amica, per la tua rivista chiedi
versi sul dollaro, sulla sterlina,
sui marchingegni in carta e in metallo,
che rendono l’esistere a scadenze
con l’ammenda e la multa, se ritardi.
Per la montagna e il mare resta sempre
qualcosa, però tutto il tuo denaro
finisce nelle tasche dello stato.
Prendi da un lato e dall’altro tu rendi,
e il conto in banca sarà sempre smilzo;
così va il mondo nostro ed il lamento
da questa parte è inutile: si tratta
di pagare. Ad un ponte del Mugnone
dorme di stracci ricoperto un uomo…


***

…fruga nei cassonetti, quando è sveglio,
e trova il necessario, a quanto pare.
Non gli importa dei voli sulla luna,
della conquista a gara dello spazio,
né del metano russo, né di guerre
o di rivoluzioni in tutto il globo,
né di bambini dai grandi occhi aperti,
che mioiono di fame o di malaria;
gli basterebbe una minestra calda
che, stando in fila, talvolta rimedia
e al suo giaciglio tra l’erba ritorna:
stato di libertà a troppo alto prezzo.
Forse chiedevi di più, ma il mio dire
nasce per strada, e delusa perdona.

6-14 novembre 2006

In “L’area di Broca”, 84-85, 2006-2007


***

Dalla casa di via da Verrazzano
di spalle uscendo, la casa del padre,
non tagliati i capelli sulla nuca,
col cappotto marrone, di mattina,
presto, come chi teme di incontrare
gente, il muro alto come allora e poi
distrutto, lascio, e lo so, cinque gocce,
sul pavimento lucido, di sangue;
formano disseccate cinque gore.
Da ragazzo in via Verdi sul carretto
di Filémone e Bauci*, sempre insieme,
se non divisi per odio dal fascio,
leggevo titoli e date e provavo
del numero vertigine ed incanto.

20 ottobre 2004

In "L'area di Broca", 80-81, 2004-2005


***
Al primo impatto, non ti riconosco.
Sapevo che dall'autobus, all'ora
convenuta, puntuale, da La Lastra
contando le fermate la seconda,
eri tu che scendevi, e mi portavi
la nostra giovinezza. Ricostruisco,
guardandoti, l'immagine, sul nuovo
che mi viene incontro con lo stesso
sguardo, come fa il sarto, quando il cliente
misura con la stoffa. Mi consoli:
abbiamo idee in comune oltre ai ricordi,
che tu riaccendi in me come mia madre
con la carta e il ventaglio al focolare
sessanta e più anni fa la fredda brace.

24 agosto 2001


***

Abbiamo camminato su per Costa
San Giorgio, sul lungarno, su per via
Guicciardini, per tanti giorni quanti
occorsero all'infanzia, per cambiare
i corti pantaloni in pantaloni
lunghi, passando per quelli alla zuava.
Le "mie donne"? Nel crescere le persi;
appartennero ad altri, mogli, madri,
e, se vive, non cercano nell'album
della memoria né il nome né il volto
di Giovanni, raschiato, impolverato
dal tempo. Vedo il tuo corpo rimpolpato,
per un attimo, fermo al marciapiede,
di spalle, dentro il vuoto del cancello;
non mi hai detto per te chi sono stato,
fiammifero non lasci alla mia notte.

24 agosto 2001


***

Ieri, col primo amico, non con dio,
faccia a faccia: ti passi il fazzoletto
sul collo, sulla fronte, più e più volte,
poco accaldato e molto emozionato;
io ti guardo, misuro ogni tuo gesto,
ogni parola, con cui mi rammenti
la sorte di Foà, di Filistrucchi,
di Parretti, di Vestri, di Meucci.
La "pace armada" come il carnevale,
non altro in fondo il fascismo in Italia,
e parate e discorsi e giuramenti,
contro la nostra crescita, la nostra
vana domanda. E intristivano i padri
come gli ombrelli nella rastrelliera.

24 agosto 2001

In “L’area di Broca”, 75, 2002.